domenica 31 luglio 2011
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Ormai da alcune settimane le nostre coscienze sono interpellate e sconvolte per le notizie che provengono dal Corno d’Africa. Sebbene non sempre i media diano alla tragedia umanitaria il risalto che merita, vibrante è stato l’appello di Benedetto XVI e forte l’allarme delle Nazioni Unite. È chiaro che non è tollerabile in alcun modo restare fermi. Anche se spesso il più grande nemico non è la mancanza di volontà, ma il tempo e i modi concreti per attivare gli aiuti. È molto triste, oltretutto, che la sensibilizzazione sia un vanto quasi esclusivamente cristiano, anche perché, come ha giustamente osservato il 27 luglio su Avvenire il filosofo laico Sebastiano Maffettone, «non c’è bisogno di fede religiosa per rendersi conto dell’ingiustizia clamorosa in cui viviamo, bastando un sano senso morale». Pensando ai principi ispiratori della solidarietà mi è tornato in mente un piccolo capolavoro ascetico e politico scritto da Amintore Fanfani nel 1941, dal titolo inequivocabile: Colloqui sui poveri. Bisognerebbe tenere il pregevole volumetto sopra il comodino come un vademecum morale, una sorta di guida al solidarismo cristiano. Le parole dello statista aretino trovano una specifica attualità grazie a quello «spirito profetico», come lo chiamava Giorgio La Pira, che dovrebbe muovere la libertà verso le «attese della povera gente». Tale, d’altronde, è stato sempre l’atteggiamento di fondo di Fanfani: guardare le vicende politiche con un’attenzione totale alla persona. Commentando proprio i Colloqui, in una biografia degli anni 70, Giorgio Galli rimproverava al "cavallo di razza" che il tema della povertà e della miseria era affrontato allora, esaminando solo le possibilità positive di un buon uso della ricchezza e non condannando in sé l’opulenza. In realtà, l’impostazione etica e cristiana di Fanfani era corretta perché puntava il dito sull’immoralità del consumismo, in alternativa al marxismo, senza fare anatema del capitalismo. Quel suo scritto, in effetti, condensa il cuore di una filosofia politica che Ettore Bernabei ha efficacemente definito ispirata al «primato del volontarismo sociale», vale a dire a un impegnativo dovere individuale e comunitario della collettività verso i poveri e i "miserabili". Muovendo dal diretto insegnamento dei Vangeli si fa avanti con grande lucidità una lettura teologica globale del mondo secondo cui i detentori di ricchezza sono «ministri della provvidenza» che hanno il costante obbligo etico e civile, e perciò politico, di realizzare un’equa distribuzione delle risorse. Il riferimento fatalmente va all’autorità filosofica di san Tommaso, per il quale «i beni della Terra sono appunto creati da Dio affinché tutti gli uomini ne beneficino, utilizzandoli per vivere e vivendo conoscere, amare, servire Iddio per andarlo a godere in paradiso». Dal lato squisitamente economico, deriva da ciò la certezza, sostenuta sempre nei documenti magisteriali, che soccorrere materialmente i poveri è un impegno che travalica i confini nazionali perché coinvolge la responsabilità personale, prima ancora che sociale, di ogni essere umano. Per Fanfani, d’altronde, non è la proprietà privata l’ostacolo. Anzi, il moderato e universale possesso dei beni corrisponde ad una buona e ordinata gestione delle risorse. È semmai il superfluo ad escludere la giustizia, estromettendo gli altri dal fruirne. Seguendo san Bernardino da Siena, Fanfani asserisce che fin quando non tutti hanno il necessario è intollerabile che pochi abbiano tutto. Una conclusione che è un monito per i tempi di oggi e per la tragedia africana. Non basta dare agli indigenti, occorre partecipare spiritualmente la povertà degli altri vivendo materialmente e in proprio il distacco, utilizzando gli strumenti politici idonei, in primis le istituzioni pubbliche, per permettere l’accesso globale ai beni materiali. Una lezione esemplare che resta pertanto intramontabile.
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