giovedì 9 dicembre 2010
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L'intreccio di tante questioni diverse ma tutte importanti, rendono convulsa in queste settimane la vita di un Paese sul quale, per di più, incombe il rischio di una pesante crisi finanziaria. La stessa vicenda del Governo impegnato a ritrovare e mostrare i propri muscoli, anche se il loro turgore non dà esattamente l’idea della forza, è preda di questa confusione nella quale il denominatore comune sembra essere quello del "tutti contro tutti". Ma questi smottamenti dietro i quali si intravedono lotte di potere e più o meno oscuri regolamenti di conti, non sono indolori per la società civile, soprattutto nei suoi strati più poveri di risorse e meno garantiti.Ed è, appunto, questo malessere che molti già avvertono sulla propria pelle. Il fossato che divide inesorabilmente i ricchi dai poveri, si è approfondito sicché la divisione è diventata più evidente e, per molti aspetti, più ingiusta. Queste divisioni sul terreno della giustizia sociale e della stabilità occupazionale, offuscano l’immaginario collettivo del Paese, a partire dalla stessa evocazione dei centocinquanta anni dell’unità nazionale già oggetto di varie e importanti iniziative.La persistenza (se non l’incremento) di sacche di povertà e di emarginazione, infatti, incide sulla qualità della rievocazione della formazione dello Stato unitario. A ricordarmelo per la prima volta fu un commissario-sacerdote al mio esame di storia alla maturità. Egli – sorprendendomi – mi chiese se le baraccopoli che circondavano Roma potevano essere d’impedimento alle celebrazione dell’allora prossimo centenario della Capitale. Quella domanda che deluse le mie aspettative di studente, adesso mi ritorna in mente e mi appare attuale. Un Paese, infatti, può dirsi veramente unito non solo se lo è il proprio territorio, ma anche e ancora di più se, indipendentemente dai suoi luoghi, esso assicura ai propri cittadini delle reali pari opportunità e, quindi, una vera giustizia sociale.Un obbiettivo che nell’Italia repubblicana è stato perseguito con tenacia attraverso una strategia di interventi strutturali (il piano casa, la riforma agraria solo per citare i più noti) che diedero una grande risposta sociale alle attese popolari negli anni della ricostruzione del dopoguerra, e che sono poi continuati nelle molte altre fasi dei governi della Prima Repubblica. Ora quella spinta si è esaurita, e la sua assenza è resa più aspra dal ritardo della ripresa e dell’espansione dei mercati. Una situazione, dunque, nella quale le differenze sociali producono maggiore sofferenza e, quindi, una reale divisione. Di fronte a questa realtà un Paese veramente unito, dovrebbe attivare forme efficaci di dialogo e di vera solidarietà sociale. Senza sforzi credibili di ricomposizione sociale, infatti, la solenne rievocazione dell’unità nazionale rischia di esaurirsi in una celebrazione retorica senza altri, veri significati.
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