martedì 12 agosto 2014
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Caro presidente della Federcalcio Carlo Tavecchio, alla fine come previsto – non senza la solita bagarre di Palazzo – ce l’ha fatta. La bicicletta, anzi il pallone adesso è tutto suo, quindi giochi pure, ma faccia giocare bene anche tutta l’Italia calcistica. Le banane le lasci ai fruttivendoli e per prima cosa faccia in modo che gli “Optì Pobà”, gli italiani figli di stranieri, gli extracomunitari e tutti quelli che vengono a giocare a calcio da noi, abbiano prima che un nuovo ius soli  – come ha promesso – il massimo rispetto (anche per questo noi parliamo, sempre, di ius culturae). Solo così può essere credibile la richiesta di “tolleranza zero” contro il razzismo e la violenza negli stadi che lei ha messo in cima agli undici punti del suo programma presidenziale. Cominci chiedendo una sterzata rapida per la legge che consente la realizzazione degli stadi – “senza barriere” – di proprietà dei club. Altrimenti, il suo disegno di “riqualificazione del prodotto calcio” verrà cancellato sul nascere. Più che i “grandi eventi” che intende organizzare, si preoccupi di tante piccole imprese da realizzare, dal primo campo della Serie A fino all’ultimo della periferia italiana. Pretenda unità tra tutte le componenti dirigenziali, perché non si debba più assistere a vergognose lotte tra bande, come a quelle a cui abbiamo appena assistito. Quindi, in tribuna meno politica e più calcio. Rapporti diplomatici trasparenti, accordi alla luce del sole, chiarezza di ruoli e incarichi affidati per merito e non per “affinità elettorali”. A cominciare dalla figura del segretario generale che lei vede come “un capo azienda”. Il forte rilancio del Settore tecnico della Figc e del Settore giovanile e scolastico possiamo anche affidarlo a un manager come vuole lei, presidente, ma si ricordi: prima del “brand federale”, ci sarebbe lo sport. Il calcio è un “giuoco” – lo dice la “g” di Figc – e per insegnarlo ha bisogno di educatori e di tecnici qualificati, che i conti devono farli tornare anche in campo. Pertanto scelga un ct, la cui figura coniughi a pieno questi due aspetti di educatore e di tecnico. Infine, visto che nel suo programma si legge “migliorare la comunicazione”, cominci subito ad allenarsi a contare fino a 10, anzi a 11, e poi parli a quei 60 milioni di italiani che, lo sa meglio di me, sono – siamo, purtroppo – tutti ct. Anche irrimediabilmente tifosi. E persino civilmente esigenti.
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