domenica 30 gennaio 2011
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Amare l’Italia è possibile e giusto. Abbiamo iniziato a celebrare i 150 anni della nostra storia unitaria, con l’impegno eccezionale del presidente Giorgio Napolitano, e ricordiamo con riconoscenza un Risorgimento che è riuscito a darci uno Stato senza avere grandi mezzi, senza fare grandi guerre e carneficine, con ideali di cui abbiamo nostalgia. Ma sentiamo che possiamo fare una festa ancora più grande, perché sappiamo, e sentiamo nel cuore, che la nazione italiana è più antica, solida, e si è formata, oltre che nella antichità classica, in lunghi secoli nei quali la luce del cristianesimo ha formato la nostra cultura, la sensibilità fondata su valori preziosi, le nostre istituzioni elementari, a cominciare dalla famiglia che resta il punto di riferimento di ogni persona per l’equilibrio affettivo e l’amore verso le nuove generazioni.Quando pensiamo alla nostra Italia non ci fermiamo all’Ottocento perché la memoria va subito indietro nel tempo, alle schiere di Santi che ci hanno donato il sentimento di una solidarietà mai venuta meno, che consente oggi di essere una società amica di quanti vengono da ogni parte del mondo. Pensiamo alla Chiesa come punto di riferimento naturale nelle difficoltà per la sua capacità di magistero, di indirizzo, di consiglio alle nostre coscienze.Nelle celebrazioni dei 150 anni ricordiamo i padri del Risorgimento, da Cavour a Vittorio Emanuele II, da Mazzini a Manzoni, a Gioberti e tanti altri. Ma sappiamo di avere tanti altri padri fondatori della nostra coscienza, da Francesco d’Assisi che supera i secoli ed è ispiratore delle nostre qualità umane, a Dante Alighieri che ha saputo riempire i sogni di generazioni di uomini in Italia e nel mondo con una allegoria del bene e del male, del cammino della salvezza, che resterà insuperata per la sua maestosità, le sue tinte celestiali e fosche insieme.L’elenco è senza fine, esso contiene Petrarca che divise la vita tra la letteratura e l’impegno perché il Papa tornasse a Roma, l’unico luogo che gli garantiva universalità e libertà, i segni che Pietro portò a Roma in nome di Gesù. E pensiamo ancora a San Benedetto e a Santa Caterina da Siena che sparsero il loro carisma in Italia e in Europa.Ricordiamo maestri delle virtù civili come Cesare Beccaria, o cantori dell’intimità più profonda come Giacomo Leopardi che dalla sofferenza seppe elevarsi a livelli nei quali la poesia si sposa alla filosofia fino ai confini del cielo, con domande centrali per la vita e un pathos interiore, che fa parte anch’esso del nostro substrato antropologico.In questo abbiamo una singolarità che non hanno altri popoli. Celebriamo l’unità politica come approdo di un cammino secolare fatto di cose belle, grandi, universali, che ci fanno amare l’Italia non solo con il desiderio, ma per come si è formata e plasmata nella realtà della storia e delle persone.Certamente, la nostra è una storia plurale, intrisa di localismo e di universalità, ma in questa pluralità abbiamo moltiplicato i nostri tesori di cultura, di pensiero, d’arte, di cui fruiamo ancora oggi come non capita ad altri Paesi. E naturalmente in questo cammino secolare abbiamo vissuto affanni e momenti tristi, abbiamo subito ingiustizie e ne abbiamo fatte ad altri, anche se in modo più limitato. Abbiamo sempre superato le difficoltà seguendo un filo conduttore che ci viene dalla nostra storia, dal nostro legame con i valori evangelici, con una spiritualità che può essere offesa, mai soffocata.Anche oggi, quando viviamo momenti tristi dobbiamo ricordare che abbiamo in noi più forza morale di quanta crediamo, più capacità di fare il bene che di assuefarci a ciò che non è né buono né bello, più capacità di rialzarci che abitudine a piegarci. Nell’amalgama tra realismo e spiritualità che la storia ci ha dato, troviamo sempre un punto di equilibrio che ci viene dalla volontà di scegliere la parte migliore, quella che ci indica la nostra coscienza ispirata alla tradizione cristiana.
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