venerdì 13 agosto 2010
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Forse perché le giornate scorrono serene, in questo periodo di vacanze, la presenza del male grida più forte, e appare più assurda che mai, venga da lontano o si manifesti tra noi. In Afghanistan otto persone di fede cristiana, che prestavano il loro aiuto in una terra violentata mille volte dalla guerra e dal fondamentalismo, sono stati trucidati. Unica loro colpa: avere con sé la Bibbia. La notizia viene da lontano ma sentiamo quelle vittime vicinissime a noi, perché allungano l’elenco dei morti per la fede cristiana che non ha mai conosciuto interruzioni o confini geografici. Fuori di ogni contingenza, la sostanza dell’eccidio è che persone che soccorrevano i bisognosi sono state colpite da carnefici in nome di un’altra fede, quella islamica, che però è stata privata della compassione e arricchita di violenza.Da noi, a Milano, un ucraino che ha litigato con la sua ragazza uccide a pugni una filippina capitata lì per caso e recita la scena più assurda che si possa immaginare, mentre nessuno interviene. Su "Avvenire" lo scrittore D’Avenia si è chiesto dove fosse Dio in quel momento, e ha osservato giustamente che Egli scompare quando l’uomo viene a mancare; perché l’uomo violento, che procura il male estremo, di fatto cancella e scaccia da Dio da sé e dagli altri. Su un altro giornale, un altro intellettuale si è domandato se non si debba tornare a ciò che è puro e semplice, a leggere ad esempio il libro Cuore per far fiorire sentimenti di bontà che albergano in ciascuno di noi, prima di soffocarli. Osservazione che merita una postilla su ciò che sta prima del libro Cuore e può meglio coltivare la coscienza dell’uomo e le sue potenzialità. Ancora, a Capri una ragazza di 17 anni viene violentata in un luogo centrale, sembra ad opera di un ragazzo della Napoli "bene", e si avverte quasi un senso di colpa perché il male è sempre più vicino e non viene soltanto da chi è diverso da noi.Dunque, registriamo ancora una volta che sono i miti a subire la violenza, senza poter reagire, mentre l’unica certezza che resta è la presenza terribile, oscena, del male che sembra trionfare, mentre noi cerchiamo di trovarne l’origine per sconfiggerlo. Forse questa origine è meno oscura di quanto pensiamo, perché quando incontriamo il suggerimento di tornare a leggere il libro di De Amicis una domanda sorge spontanea. Prima, e oltre il libro proposto, non dobbiamo leggere e recuperare quanto è scritto da millenni nei nostri testi sacri e che noi, anno dopo anno, troppi di noi hanno preso a respingere come inutile, non vero, rischioso per la nostra libertà? Non si deve ricostruire il rapporto del nostro agire con una legge eterna, che proibisce la violenza e chiede di amare il prossimo, che è stata pronunciata e inserita nel nostro cuore, perché potessimo conoscerla, coltivarla, osservarla, trasmetterla agli altri? Forse, dobbiamo interrogarci se è ancora possibile stupirci di fronte al male dopo che per tanto tempo la parola di Dio è stata considerata come un accessorio, che possiamo scegliere o respingere a piacimento, o dopo aver sostenuto a gran voce che la società non deve favorire una concezione etica della persona e della collettività, perché ciascuno può respingerla come pericolosa. A me sembra una contraddizione profonda, quasi mostruosa, che prima si scacci Dio e la legge immessa nella nostra coscienza, e poi si chieda come disorientati quale è l’origine del male, la ragione di gesti così cattivi, perversi, che uccidono l’uomo nel corpo o nello spirito. L’uomo è certamente libero, e può scegliere tra «il fuoco e l’acqua; là dove vuoi stenderai la tua mano» (Sir, 15, 16), ma la scelta è frutto di una educazione, di una formazione che non può essere rifiutata o dileggiata, perché «la morte è entrata nel mondo, e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono» (Sap, 2, 24), e la morte interiore di alcuni è causa di violenza e di morte anche per altri. Si possono seminare con alterigia, o indifferenza verso la fonte del bene, i germi della superbia e della prepotenza, negando l’esistenza del peccato e del male, e coltivare in alternativa l’arbitrio personale, ma si deve sapere che poi il male si ripresenta con la sua oscenità, banalità, ripetitività, fin quasi a lasciarci storditi.A questo punto siamo responsabili noi, non altri, il destino, o la società in astratto, se abbiamo fatto il deserto di principi morali, o se abbiamo fatto il possibile perché l’uomo scelga tra il bene e il male che stanno dentro e fuori di lui.
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