sabato 22 dicembre 2012
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No, non avreb­be eliminato lo scandalo delle sovraffollate e spesso inumane pri­gioni italiane, la legge sulle misure alternati­ve alla detenzione e sulla 'messa alla prova'. Così come non lo ha eliminato il precedente de­creto erroneamente etichettato (dai de­trattori) 'svuota-carceri'. Secondo i ra­dicali, il provvedimento avrebbe riguar­dato appena 254 persone. Il ministro della Giustizia Paola Severino ha corret­to la cifra in 2.100. Ma non è questo, se ci è permesso, il punto. Il punto è che quel disegno di legge affossato ieri al Senato a pochi metri dal traguardo – la Camera lo aveva infatti già approvato – per iniziativa dell’Idv, della Lega e di due gruppi scaturiti dal Pdl, avrebbe rappresentato un segnale preciso di at­tenzione. Non solo verso le poche per­sone (comunque persone, non numeri) che ne avrebbero beneficiato, ma an­che per le altre 60mila e oltre 'condan­nate' alla pena accessoria di dividere in sei o in otto una cella di pochi metri quadrati e di usare a turno un buco nel pavimento come toilette.Dimenticava­mo: più di un terzo di quelle persone sono recluse in attesa di giudizio. Il te­sto rispedito in commissione dall’Aula di Palazzo Madama – dove subito dopo i tantissimi senatori-avvocati hanno in­cassato l’approvazione in via definitiva della riforma della professione forense, la loro professione – conteneva semi di civiltà giuridica (la detenzione domici­liare per i condannati a pene inferiori a 4 anni; la sospensione del procedi­mento penale con 'messa alla prova' dell’imputato, già presente nella giu­stizia minorile) che, germogliando, a­vrebbero dato nel tempo i loro frutti. E conteneva anche un piccolo seme di speranza per chi crede che il carcere dovrebbe essere scuola di legalità, non di crimine. Esultino pure, dunque, i manettari e i forcaioli della prima e dell’ultima ora: hanno vinto. E non si offendano se ri­cordiamo che alcuni, tra loro, si sono dimostrati garantisti fino a sfidare il ri­dicolo quando si è trattato di prendere decisioni o di difendere norme che in qualche modo potevano interessare le grane giudiziarie di un loro leader, al­leato od onorevole collega. Sappiano, però, che stanno applaudendo all’en­nesima occasione mancata da questo Parlamento per lasciare un segno in positivo. L’ultima occasione. La penultima è stata bruciata non rifinanziando, nella legge di Stabilità, il fondo già esiguo destinato a lavoro penitenziario. Con tanti saluti all’articolo 27 della Costituzione, che invece noi, cocciuti, vogliamo ricordare tutto intero: «La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte» .
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