domenica 11 luglio 2010
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Questa sera, dopo che sarà finito, diremo che in fondo è stato quasi bello. Poi, dopo aver considerato il fatto che il vero, grande, protagonista è stato un polpo, forse cominceremo a cambiare parere. Per poco. Basterà aspettare domattina infatti per convincersi che non è facile avere un’idea precisa di un Mondiale di calcio che ha detto tutto e niente, e soprattutto il contrario di niente. Riassumendo: lo ricorderemo per l’eclissi totale di Italia, per la giacca e cravatta stile battesimo del nipote del Padrino di Diego Maradona, per l’assuefazione da vuvuzelas (insopportabili all’inizio, alla fine invece nemmeno ci si accorgeva che trombettassero ancora) e per un invertebrato che mollemente adagiato in un acquario tedesco si è salvato (per ora) dal diventare accompagnatore di un piatto di patate lesse, azzeccando tutti i pronostici. E senza nemmeno vedere una partita in tv. Paul – questo il nome del polpo-oracolo – ha fatto più gol degli azzurri (e fin qui nulla di difficile) ma soprattutto le sue profezie sono durate più a lungo della trasferta di Lippi. E questa per noi è una verità scomoda. Comunque più plausibile di quella spacciata da chi pensa di aver capito tutto, ovviamente dopo: l’Italia ha fatto pietà perché non coltiva i giovani. Vero forse, ma sbrigativo e qualunquista. Infatti è l’illuminata tesi di Maurizio Costanzo, che in tv in questi giorni ha dimostrato di capire di calcio quasi meno degli esperti che gli stavano attorno. Ma dimenticando viscidezze varie (nel senso del polpo di cui sopra) è doveroso sottolineare che comunque finisca, questa sera il Mondiale avrà un trionfatore assolutamente inedito, l’ottavo vincitore diverso su 19 edizioni: una statistica che scalda il cuore agli amanti dell’alternanza. E di quelli che addirittura vedono in tutto ciò un segno di democrazia, o almeno di trasparenza. Beati loro. Perché se perdono il Brasile, l’Inghilterra, l’Argentina o la Germania, così ad occhio e croce, a noi pare soprattutto che i maestri non sono più capaci di insegnare niente. E che il livellamento c’è, ma verso il basso. Parafrasando Blatter, più che il popolo tifoso, per noi cuori azzurri depressi in fondo cambia poco: Olanda o Spagna “purché se magna”. Dieci milioni di italiani senza Italia comunque attaccati alla tv per le semifinali, e molti di più ancora stasera, stanno a significare che l’unica manifestazione davvero planetaria magari non proporrà il miglior calcio possibile, ma di sicuro è l’unica a regalare emozioni anche a chi non ha obblighi di tifo. Oppure che gli italiani non hanno granché di meglio da fare in queste torride sere di inizio estate. Non è cinismo, è realtà. Perché appunto, questo Mondiale ha dimostrato quanto sia velleitario e ridicolo trarre morali varie e sputare sentenze, valide nemmeno il tempo dell’intervallo tra un tempo e l’altro. Si diceva che sarebbe stato un caos totale, che l’Africa non avrebbe retto il peso di un’organizzazione tanto complessa. E invece l’Africa (fuori dal campo) aveva già vinto prima ancora di cominciare: tutto o quasi è filato liscio, ordine pubblico compreso. Molti poi avevano magnificato il trionfo del pallone sudamericano (4 formazioni su 8 nei quarti di finale), e infatti non se ne è salvata nemmeno una. Ed era già diventata proverbiale la bella Germania, forte, giovane e multietnica: ma i tedeschi ieri sera hanno giocato solo la finale che non conta. Polpo a parte, ad avere sempre ragione alla fine è stato ancora il presidente della Fifa. Blatter in verità non faceva il tifo né per l’Olanda né per la Spagna. Il suo sogno era vedere l’Italia eliminata il prima possibile, e magari un’africana in semifinale. Ha sfiorato il risultato pieno. Ma ci riproverà, nel 2014 in Brasile o su Marte dove organizzerà il Mondiale nel 2080. L’oracolo con le ventose forse no, ma lui, ovviamente, ci sarà.
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