mercoledì 9 dicembre 2009
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«Ogni giorno attraverso i giornali, la televisione, la radio, il male viene raccontato, ripetuto, amplificato, abituandoci alle cose più orribili, facendoci diventare insensibili e, in qualche maniera, intossicandoci». Il Papa che ha parlato ieri, nel giorno dell’Immacolata, a piazza di Spagna, mostra di ben conoscere Roma, e le altre nostre città. Di ben sapere come ogni mattina già dalle prime ore i giornali radio ci raccontino questa Italia di scontri, risse politiche, ricatti; di scandali, che paiono tanto diffusi da non risparmiare più nessuno; di violenze e delitti, a volte premeditati, a volte apparentemente nati per una spontanea ferocia, come dal caso. Mostra, il Papa, di ben sapere come queste storie, che giornali e tv ripetono amplificandole mille volte – cerchio di un sasso nell’acqua, che continua a allargarsi – catturino la nostra attenzione e ci rimangano quasi oltre la soglia della coscienza, mentre andiamo avanti a lavorare. Come una musica che resti nelle orecchie; e che ripeta, un giorno dopo l’altro, che attorno a noi tutto o quasi è guasto, ferito, o corrotto, e che l’idea e la speranza di un condiviso bene comune vanno smarrendosi in questo vivere litigioso, spesso ostile, e talvolta spietato. Dove al centro del circo cade magari un giorno un uomo fino a allora stimato, e improvvisamente è sommerso di vergogna; oppure più spesso uno sconosciuto – un "invisibile", dice Benedetto XVI – che si trascina ai margini della vita altrui; e subito gli stanno addosso, come fiere, i microfoni e i riflettori, avidi di squadernare quelle vite al pubblico, quali roba da voracemente consumare. O addirittura da spiare, nei video e nelle registrazioni puntualmente diffusi; senza imbarazzo, e anzi con una pronta attitudine a farci, di quelle altrui storie, rigidi censori. Come conosce bene, il Papa, le  nostre città. Sa che la dinamica del circo mediatico è «di farci sentire tutti spettatori, come se il male riguardasse solamente gli altri, e certe cose a noi non potessero accadere». (Quegli indici tesi a accusare, come gli uomini contro l’adultera, cui Gesù disse solo: «Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra». La ostinata tentazione di crederci, noi, liberi dal male). Invece, ci viene detto, «siamo tutti attori». Del bene e del male. Nessuno è estraneo, e nessuno può dire «non c’entro». La città vive anche di quanto ognuno di noi oggi farà. Quei volti, per esempio, che ogni giorno incontriamo, oppure quelli che vediamo e rivediamo, esposti alla giostra, in tv: tutti volti di uomini. Noi, dice il Papa, «vediamo tutto in superficie». Ma dietro ogni faccia c’è una storia, un’anima, una profondità che i titoli spesso appiattiscono e annichiliscono. In una povertà che avvilisce e svuota anche chi sta a guardare. (Come tacitamente chiedendoci in quale mondo abbiamo fatto nascere i nostri figli: che mai vorremmo vedere trattati così, come cose). Cosa dice Maria alla città?, si è chiesto il Papa a piazza di Spagna. Ha risposto: insegna a guardare agli altri come li guarda Dio. «A guardarli con misericordia, con tenerezza infinita, specialmente i più soli e disprezzati». Che rivoluzione: dall’indice puntato, dalla "onesta" indignazione, alla coscienza di un male che tutti ci riguarda, in una comune povertà, e dunque all’abbraccio di una misericordia autenticamente materna. Alla memoria della straordinaria promessa delle lettera di Paolo ai Romani: «Dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia». Che capovolgimento inaudito in quello sguardo, ogni volta che un cristiano se ne lascia prendere. Ricominciando ogni mattina. Senza astio, senza scandalo, senza grida. Più forte del clamore dei titoli dei giornali, lo sconvolgente annuncio di un Dio che largamente perdona. 
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