Il caso Donnarumma e altri pensieri
giovedì 6 luglio 2017

Donnarumma doveva presentarsi alla prima prova dell’esame di Maturità, ma non si è fatto vedere: ha preferito andare in vacanza a Ibiza. Nelle stesse ore è stato reso noto l’ingaggio che da quest’anno riceverà dal Milan: sei milioni di euro all’anno, netti. I giornali ci scherzavano sopra: perché un ragazzo con uno stipendio del genere dovrebbe fare la Maturità? Che se ne fa del diploma? I suoi coetanei, che ieri si sedevano tremebondi sui banchi, se supereranno la prova (cosa probabile), e se poi troveranno un lavoro (cosa più difficile, e purtroppo non scontata), quella somma la guadagneranno in tutta la vita, scriveva ieri un giornale, sbagliando (per arrivare a quella somma, di vite gliene serviranno mezza dozzina).

Dunque, Donnarumma ha scelto di avere in un anno quel che tanti compagni non riusciranno ad avere neanche se vivessero sei vite. È stata una scelta tra stipendi. «C’è una marea, nelle cose umane, che, colta al flusso, porta al successo. La perdi, e la tua vita precipita in un abisso d’infelicità»: Shakespeare, Giulio Cesare. Mi vien sempre in mente. Donnarumma la coglie al flusso. Shakespearianamente, ha ragione. Ma davvero fare o non fare l’esame di Maturità è solo una questione di soldi? Non c’è altro in ballo? Tra i soldi e la cultura, i soldi vanno sempre preferiti? Posta così, la questione è posta male, perché Donnarumma non aveva di fronte a sé una scelta drastica, o fare il portiere o fare la Maturità. Poteva tranquillamente presentarsi alla Maturità ieri, e fare le vacanze poi. Insomma, la scelta per lui era essere un portiere con la Maturità o senza Maturità. Ha scelto la seconda. Sarà uno dei tanti calciatori bravissimi, ma oggetto di barzellette culturali.

Come Totti, come Del Piero. Eccone una: Totti e Del Piero si presentano a un esame alla prova scritta d’Italiano, sentono il tema da svolgere, stanno con gli occhi in aria per tre ore (prima non si può uscire), poi escono. E si dicono: 'Ho consegnato il foglio in bianco', 'Anch’io', 'Ecco, adesso diranno che abbiamo copiato'. Totti ci sguazza, nelle barzellette che lo riguardano, e questa è una prova d’intelligenza. Ne inventa, anche. Credo che questa l’abbia inventata lui: la professoressa gli chiede: 'Dimmi il nome di un rettile', 'Una vipera', 'Bravo, dimmene un altro', 'Un’altra vipera'. Ripeto: la scelta tra il pallone e i libri, quando il pallone ti fa guadagnare una fortuna e i libri uno stipendietto da fame, non lascerebbe nel dubbio nessuna famiglia. Probabilmente, qualunque figlio di qualunque famiglia italiana ieri, nelle condizioni di Donnarumma, avrebbe marinato la Maturità.

Però, che peccato. Che peccato che la scelta sia questa, studiare o guadagnare. Che peccato che quelli che scelgono il grande guadagno non sentano più parlare di quel briciolo di letteratura, storia, pensiero che fa di una vita una vita, e senza del quale una vita non è una vita. Messi è un grandissimo calciatore, ma quando han dovuto giudicarlo per l’accusa di evasione fiscale, e lo hanno chiamato a colloquio, dopo un’oretta di discussione han concluso che parlargli è inutile, non ha le basi per intendere. Siamo rimasti sorpresi tutti. Van Basten era un attaccante formidabile, ma il Milan preferiva che non fosse lui a presentarsi alle telecamere.

La psicologa italiana Vera Slepoj ha scritto un saggio sulla cultura dei calciatori, affermando che vengono cresciuti «come polli in stia». Non tutti, naturalmente. Ci sono anche calciatori colti e raffinati. Nella Mega Azienda di Fantozzi si proiettava agli operai La corazzata Potemkim, Fantozzi ci sghignazzò sopra e noi siamo ancora qui a riderne. Ma era poi una cattiva idea? Non si potrebbe riprenderla, anche per i calciatori? Non si potrebbe aprire ogni tanto la stia, e lasciar camminare i polli sull’erba? Non sono migliori i polli ruspanti?

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