Promemoria per governanti e cittadini
martedì 25 agosto 2020

La ricetta che papa Francesco ha voluto dare al Meeting 2020 è tanto semplice quanto (forse) difficile da realizzare: la risposta a quanto sta accadendo non sta nei sussidi generalizzati – che pure possono servire per gestire i momenti più difficili – ma nella capacità di utilizzare le difficoltà di questo momento come un’occasione per affrontare finalmente le questioni che il nostro modello di sviluppo si trascina da tempo.

Una volta Keynes disse che per creare lavoro si poteva arrivare fino a fare buche nelle strade per poi ricoprirle. Con questo paradosso, l’economista inglese voleva far capire che l’attività economica (che ha come criterio fondamentale l’occupazione) altro non è che l’effetto di un accordo su ciò che è da considerare di valore. Come ha detto anche Mario Draghi, per superare il tempo difficile che abbiamo davanti a noi, non bastano le soluzioni di breve termine. Occorre imboccare, con decisione, una strada di trasformazione. Di cosa? Facciamo un primo sommario elenco.

C’è la questione della sostenibilità ambientale. Dobbiamo produrre e consumare in maniera tale da invertire velocemente gli effetti devastanti che produciamo sulla ecosfera. Tema enorme che può aprire enormi processi di trasformazione delle nostre economie. C’è il tema della formazione delle persone. A partire dalla scuola, dove la questione non riguarda semplicemente il metro di distanza o la mascherina, ma l’uso del digitale, le nuove forme di integrazione scuola-famiglia-mondo del lavoro, la formazione continua degli insegnanti, il superamento di schemi didattici troppo rigidi. E poi, più in generale, l’estensione dell’esperienza formativa aldilà del ciclo scolastico.

Abbiamo da affrontare le nuove questioni legate alla sanità (che pesa tra il 10 e il 20% del Pil). Da un lato, il coronavirus ci ha insegnato che una sanità tutta e solo centrata sull’ospedale non regge: occorre tessere una rete diffusa e leggera per accompagnare le persone e i territori chiamati a essere soggetti attivi nella gestione della prevenzione e della cronicità. Dall’altro, è tornato evidente che la sanità è un bene universale a cui tutti devono avere il diritto di accedere. Obiettivi che si possono raggiungere superando la fase della aziendalizzazione della sanità: non bastano i manager a dirigere le Asl.

Il digitale è, poi, una grande occasione per cambiare il modo di lavorare, di abitare, di muoversi. Un intreccio che va al cuore della nostra organizzazione personale e sociale. Della nostra quotidianità. È il momento di ripensare le nostre case e i nostri quartieri rafforzando la possibilità di una vita sociale a km0 che migliori davvero la qualità della vita di tutti. A condizione però che il mercato del lavoro sia capace di introdurre nuove forme contrattuali e che lo smart working non sia riservato a pochi o il paravento di nuove forme di sfruttamento.

Ancora, mai come in questi mesi abbiamo visto come è importante avere qualcuno che sappia regolare con efficacia i comportamenti individuali e i flussi di ciò che passa attraverso i confini. Avere immaginato un mondo privo di qualunque regolazione è un sogno distopico; così come distopico è il pensare di costruire muri per separarci gli uni dagli altri. La regolazione istituzionale serve per gestire il virus ma anche per governare i flussi finanziari, contrastare l’enorme concentrazione di potere economico, riequilibrare il carico fiscale tra i cittadini e le (grandi) imprese: un mondo in cui Apple ha raggiunto una capitalizzazione borsistica superiore ai 2mila miliardi di dollari (un valore superiore al Pil dell’Italia) e in cui il fondatore e proprietario di Amazon, Jeff Bezos, ha un patrimonio personale di 150 miliardi di dollari occorre riconoscere che c’è qualcosa che non va.

Nuovi strumenti regolativi sono essenziali per combattere le enormi ingiustizie che alimentano odio e risentimento. Abbiamo bisogno di nuove infrastrutture completando così il percorso del secolo scorso. Abbiamo ancora infrastrutture fisiche da costruire – pensiamo soprattutto all’alta velocità – per integrare tante aree del nostro Paese e ridurre il traffico autostradale e il numero dei voli (molto inquinanti); la banda larga rimane ancora un sogno per la stragrande maggioranza degli italiani; sono anche quasi tutti da fare i famosi interventi per mettere in sicurezza l’assetto idrogeologico del Paese rispetto ai sempre più frequenti fenomeni atmosferici estremi. Infine – ma certamente non ultimo per importanza – c’è il tema della demografia, termine tecnico per indicare il rapporto tra le generazioni. Il mondo giovanile rischia di venire soffocato dai mille problemi che gli abbiamo lasciato in eredità. Oggi costituire una famiglia è davvero difficile ed è ancora più difficile avere l’audacia (!?) di generare dei figli.

Eppure, ogni investimento sul futuro passa da una rinnovata centralità di una famiglia generativa che è un bene collettivo (e non certo qualcosa di confessionale). Dove per essere concreti si dovrebbe prima di tutto completare il percorso di formazione con la possibilità di avere un posto gratuito in asilo nido a partire dal primo anno di vita. Un tema fondamentale anche per migliorare i rapporti uomo-donna dentro la famiglia e nel mondo del lavoro. L’elenco potrebbe continuare. Il punto, insomma, è che abbiamo tantissimo da fare, se solo stacchiamo gli occhi dalla paura che ci attanaglia e torniamo a pensare al futuro. Smettiamola di pensare che la ripresa passi semplicemente all’aumento dei consumi. Il nostro avvenire passa, piuttosto, dalla capacità di immaginare un mondo nuovo. E di costruirlo un po’ per volta. Esattamente come hanno fatto tutte le generazioni prima di noi.

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