sabato 5 dicembre 2015
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Gentile direttore,
in questi giorni sono ritornate le discussioni circa il divieto di burqa e niqab e si sono sentite le cose più strane e disparate. È facile appurare che questi tipi di indumenti non hanno nulla a che fare con la religione islamica (basta documentarsi), la causa è del tutto laica, cioè etnica, tribale o familiare. Da noi una legge dello Stato, la n.152 art. 5 del 22 maggio 1975, afferma: «È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo». Inoltre, il successivo Pacchetto Pisanu precisa: «Pene severe per chi circola in pubblico con volto coperto, che si tratti di casco o di burqa». Non ha quindi alcun senso che le Regioni (la Lombardia in questi giorni) discutano una legge regionale per vietare burqa e niqab. La legge esiste già da tempo, basta farla rispettare!
Roberto Nuara - Monza
Penso anch’io, gentile signor Nuara, che sia inutile e persino confusionario ipotizzare normative ulteriori – e, per giunta, regionali – sulla velatura integrale (con copertura del volto), delle donne praticata da alcuni (non tutti) fedeli islamici. Penso che lo sia a maggior ragione nel Paese delle quasi centomila leggi, che non sono diminuite di molto nonostante le promesse e i roghi simbolici di scartoffie dei Ministeri per le Semplificazioni che negli anni scorsi furono varati tra grandi squilli e fanfare. Si pensi piuttosto ad applicare con puntualità e intelligenza le regole già vigenti. Ricordo, poi, che sulla questione che lei solleva ha scritto recentemente sulle nostre pagine un giurista di grande esperienza e profondità come Paolo Borgna (”Avvenire” del 28 novembre 2015: «A proposito di legge e velo integrale. Niente guerre sui simboli» http://tinyurl.com/borgna ). Ho trovato molto acuta e saggia l’analisi del procuratore Borgna e molto utili le sue conclusioni, che valorizzano il margine di «prudente apprezzamento» che la pur ferma Legge Reale, quella che anche lei richiama, riserva ai tutori dell’ordine (tenuti a valutare un eventuale «giustificato motivo» per l’uso di un casco, un passamontagna, un fazzoletto, un velo...). Questo tempo di terrorismo jihadista è, infatti, proprio il tempo della fermezza e della prudenza: c’è da battersi per la giusta causa della libertà nella sicurezza e nel rispetto reciproco di tutti e c’è da garantire una legalità che a nessuno – proprio a nessuno – permetta abusi. Certo non c’è da accendere ulteriori focolai di incomprensione e di ostilità. In Francia, come ho ricordato lo scorso 2 dicembre in prima pagina, la scelta di puntare sulla rimozione dei simboli religiosi e identitari non ha portato serenità e ha contribuito ad accendere una guerra sorda e cattiva.
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