domenica 21 novembre 2010
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Forse non ha torto il segretario generale della Nato Rasmussen a definire il vertice che si è chiuso ieri a Lisbona come «il più importante nella storia dell’Alleanza atlantica». Le ragioni ci sono e sono molteplici. Dal summit nella capitale portoghese sono uscite infatti almeno due novità di portata oseremmo dire storica: la definizione della exit strategy in Afghanistan (che prenderà avvio a partire dal prossimo anno e consentirà il disimpegno entro il 2014, allorché le autorità di Kabul prenderanno il pieno controllo del territorio) e l’invito alla Russia per una piena adesione allo scudo missilistico predisposto dalla Nato a tutela degli Stati Uniti e dei suoi alleati europei.Ma più ancora del partenariato che si verrà così a configurare tra l’Alleanza e l’Afghanistan (in proposito l’Italia ha annunciato – con il plauso caloroso del presidente Obama – l’invio di altri 200 istruttori, portando così il numero dei nostri operatori presenti sul terreno ad oltre 4.200) e della dichiarata intenzione della Nato di non abbandonare Kabul al proprio destino dopo il 2014, assai significativa appare la svolta nei rapporti fra Mosca e il blocco occidentale.A due anni dalla crisi georgiana, dopo le scintille fra George W. Bush e l’allora presidente Putin circa l’intenzione di allestire uno scudo antimissile ai confini con l’ex impero sovietico, ora la Russia si avvicina alla Nato in qualità di nazione cooperante, dismettendo – a quanto ci è dato di capire – quel ruolo pluridecennale di avversario storico della Nato, della cui nascita nel 1949 in buona sostanza il blocco sovietico con la sua famigerata Cortina di ferro fu di fatto il principale istigatore. «Nato e Russia – recita il documento finale del vertice – si asterranno vicendevolmente dalla minaccia e dall’uso della forza, e sono determinati a creare le condizioni per un mondo senza armi nucleari», impegnandosi a non operare interventi armati nei confronti di qualsiasi altro Stato minacciandone indipendenza, sovranità e integrità territoriale.Non è inopportuno richiamare qui quello "spirito" di Pratica di Mare, che già nel vertice Nato del 2002 a guida italiana rivendicava l’urgenza e la necessità di una cooperazione stretta e pacifica fra Alleanza atlantica e Russia, non più divisi come un tempo dalla lama tagliente di inconciliabili ideologie. Ma se sulla carta e sui principi tutto sembra congiurare verso un morbido appeasement fra le parti in causa, nella realtà quotidiana gli scogli e le insidie sono ancora innumerevoli.La ratifica del Trattato Start sul disarmo nucleare per cominciare (che il Senato americano rilutta ad approvare), l’ammissione da parte di Washington che in Afghanistan le forze internazionali hanno davanti a sé «ancora molti duri combattimenti» per finire. E c’è soprattutto il "non detto" che fa la differenza. Come il ruolo dell’Iran, implicitamente riconosciuto (da Sarkozy, per primo) quale principale minaccia che giustifica lo scudo missilistico della Nato, ma che la Turchia si è fermamente rifiutata di inserire nel documento finale. E si sa perché: Teheran è il principale "cliente" di Ankara e delle sue ambizioni di dominus della regione che va dal Caspio a all’Egitto. Ma anche il russo Medvedev si mostra molto cauto: la minaccia nucleare iraniana, dice, non potrebbe palesarsi che fra dieci anni, quando cioè Teheran disporrà di missili balistici. Per paradosso, proprio nel conseguire i successi odierni la Nato si rivela inguaribilmente vecchia e inadeguata ad affrontare quegli scenari (la Cina, il Medio Oriente jihadista, la pirateria cibernetica, il narcotraffico) che nel rassicurante immobilismo dell’epoca dei due blocchi erano assai remoti.Oggi il mondo corre più veloce delle parole di Rasmussen, e anche l’Alleanza necessita di un restyling urgente e forse di una missione costitutiva nuova. Cosa che in parte si appresta a fare, tagliando il 35% delle proprie strutture. Ma tutto è utile, se serve a garantire un mondo dove i venti di pace sopravanzino quelli di guerra.
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