mercoledì 14 agosto 2013
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Anche quest’anno, l’estate sta trionfando con i suoi colori vivaci e la voglia di evadere dai soliti ritmi lavorativi. Se dovessi ritrovare in un’opera d’arte la suggestione di certi paesaggi marini che lasciano l’animo col fiato sospeso, rimandando prepotentemente ad "Altro", sceglierei un’opera di Caspar David Friedrich, dal titolo Le bianche scogliere di Rügen. L’opera data 1818, un anno importante per Friedrich che, sorprendendo tutti, si sposa. Nessuno lo avrebbe creduto perché i suoi 44 anni lo consacravano ormai al celibato perpetuo. Il viaggio di nozze è l’occasione per l’artista di tornare in un luogo, l’isola di Rügen appunto, che egli amava fin dalla più tenera età. Il vibrante paesaggio marino suggerisce l’incertezza nel futuro: le bianche scogliere assumono un aspetto spettrale e inquietante, mentre sullo sfondo il mare, simbolo dell’eternità (ma anche dell’incognito), si offre generoso allo sguardo di tre pellegrini. Si percepisce immediatamente che, dietro e dentro il paesaggio, "Altro" si muove: nel mare della storia transitano placide due imbarcazioni, segni di un’umanità che naviga verso una riva ignota. Così, i tre personaggi della tela non ci paiono più casuali, ma come messi lì, apposta, per risucchiarci dentro la loro domanda di senso. E non dovrebbe essere questo il senso vero dell’estate? Ridare valore al turbinio dei giorni lavorativi attraverso domande giuste; attraverso uno sguardo che affondi nel destino? Friedrich lo fa a modo suo. A sinistra, la donna, cioè Caroline, moglie del pittore, è una macchia di rosso intenso nella pacatezza generale dei colori. Tenacemente aggrappata alla radice di un arbusto, raffigura, nella visione simbolica dell’artista, la carità che non cade nelle insidie di un piacere illusorio, ma rimane attaccata alla vita, ai suoi valori, alle sue esigenze di dono (come appunto la radice). Dall’altro lato c’è il fratello di Friederich: sta tranquillamente appoggiato a una roccia, non teme di cadere nel baratro e guarda dentro l’orizzonte vasto che gli sta davanti. Egli simboleggia la speranza, certa perché proiettata oltre l’immediato. Al centro si consuma il dramma. Tra l’apparente distrazione di questi due individui, un terzo, lo stesso Caspar, sembra in procinto di precipitare nel baratro. L’artista cammina a tentoni, perde il cappello a cilindro, che rotola sul terreno scosceso, e il bastone. Il suo dramma è quello della fede. Un dramma che è anche il nostro, dal momento che Papa Francesco ha firmato la sua prima carta al mondo intitolandola: Lumen fidei. Anche noi come Caspar siamo lì, talora lontani dalla speranza e dalla carità, soli con la nostra fede dubbiosa e immatura di fronte alle sfide della vita. Come sarebbe bello fermarsi in riva al mare e leggere davanti alla sua immensità piena d’incognite l’enciclica del Papa. Il mare si trasformerebbe di colpo in un cielo altissimo, specchio del Mistero di cui abbiamo bisogno. Succede anche all’opera che stiamo guardando. L’avete notato? La macchia azzurra che s’incunea tra le rocce bianche – il mare – è, in realtà, un’immensa montagna rovesciata. Da questa prospettiva, Caspar David che sembrerebbe soccombere dentro gli eventi è, fra i tre, l’unico ad aver raggiunto la cima. Che il cuore dell’estate ci possa sorprendere così, con il lume della fede in mano. Quel Lumen fidei che è l’unico – in questo mondo – capace di ribaltare le nostre prospettive.​​
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