Atti e abusi sessuali: nessuna paura di chiamare le cose con il loro nome
giovedì 14 luglio 2022

Gentile direttore,
prima di tutto complimenti per il suo giornale. I contenuti degli articoli fanno riferimento a fatti e anche le convinzioni degli estensori dei commenti sono argomentate senza attacchi alle persone che possono avere convinzioni diverse. Posso quindi dissentire anche totalmente rispetto al contenuto di un articolo senza per questo sentirmi offeso o demonizzato. Ho notato che nei frequenti articoli sugli 'abusi' manca un aggettivo qualificativo. Si tratta forse di abusi edilizi? È importate aggiungere 'sessuali' e magari nell’articolo ricordare che un prete non diventa pedofilo, è il pedofilo che diventa prete. Se si andrà avanti ancora con reticenze e omissioni, si affermerà la convinzione che per combattere gli abusi sessuali sia necessario consentire ai sacerdoti di sposarsi! Come se un pedofilo eterosessuale, omosessuale, bisessuale fosse interessato a fare sesso con persone adulte. Inoltre, un diffuso senso comune 'popolare' individua i pedofili solo tra gli omosessuali. Come potete combattere la pedofilia se una larga parte della opinione pubblica si convince che bisogna semplicemente dare la caccia agli omosessuali in quanto pedofili? Credo infatti che un prete omosessuale possa essere un buon pastore allo stesso modo di un prete eterosessuale o bisessuale. Questa scarsa chiarezza non aiuta nella scelta di strategie efficaci per tutelari i minorenni dalle aggressioni sessuali.

Claudio Mastri


Gentile signor Mastri, grazie per i complimenti che rivolge al nostro lavoro comune. Mi limito, qui, a rispondere al suo appunto sul termine 'abusi'. Sulle nostre pagine, ogni volta che dobbiamo scrivere di violenze a carattere sessuale compiute su chiunque, e a maggior ragione quando si tratta di minori, usiamo con dolore e senza esitazioni le locuzioni «abusi sessuali» o «atti sessuali». E questo sia che a commetterli siano persone consacrate, insegnanti, altri educatori, allenatori sportivi, parenti, amici o compagni di scuola delle vittime. È invece vero che nei titoli – noi, come altri giornali – a causa delle poche battute a disposizione in diversi casi usiamo soltanto la parola 'abusi'. Che non è evasiva, ma purtroppo evocativa e in un contesto in cui si parla di persone violentate non facilmente equivocabile. La chiarezza di 'Avvenire' anche su questo tema drammatico è totale da molti, molti anni, così come l’adesione all’unica strategia concepibile nel caso di queste nefandezze: stare evangelicamente dalla parte delle vittime. E questo impone di chiamare sempre le cose con il loro nome.

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