Così l'Occidente vuole rientrare in gioco nella spartizione della Siria
sabato 14 aprile 2018

La portavoce del ministro degli Esteri russo ha evocato Colin Powell, la polverina bianca e la fialetta brandita all’Onu prima dell’attacco di Bush all’Iraq. Poi ha insinuato l’elemento di attualità, quella che per il Cremlino da tempo è equiparata a quella polverina: la post-verità. L’appoggio dei media occidentali alle accuse Usa e francesi sull’impiego delle armi chimiche a Douma il 7 aprile.

Condivisibile o meno, è solo una delle tante tessere che costituiscono il mosaico dell’ottavo anno di guerra in Siria. Una guerra, o almeno quattro facce della stessa guerra (dall’insurrezione popolare all’intervento turco ad Afrin delle scorse settimane), in cui la vittima collaterale (ma non troppo) è stata principalmente la verità. Da tutti i fronti: quello dell’Osservatorio siriano sui diritti umani, con base a Londra, accusato più volte di gonfiare o sgonfiare la realtà, quello della propaganda di regime di Assad, russa o iraniana. Quella di racconti a loro volta basati su altri racconti di entità, come la Ghouta Orientale, dove chi entrava era solo parte del conflitto e non terzo.

L’attacco della notte scorsa, a un anno e sette giorni dal primo messo in atto da Donald Trump contro Assad, (a Borse chiuse, dopo i tonfi dei giorni scorsi, e annunciato ore prima da febbrili telefonate ai russi da parte di Casa Bianca, Eliseo e Downing Street) non può però anche essere disgiunto dal vertice di dieci giorni fa ad Ankara, tra Russia, Iran e Turchia. La Yalta dei giorni nostri, il vertice dei vincitori, della spartizione della Siria. Dove francesi, inglesi e americani hanno potuto solo sbirciare dalla finestra. Se può esserci però un senso ai massacri finali nella Ghouta prima della caduta definitiva di Douma, ai Tomahawk della notte a alle successive manifestazioni di consenso al regime mandate in scena nelle strade di Damasco, va proprio cercato nelle conclusioni del vertice del 4 aprile nella capitale turca.

I missili della notte, paradossalmente, hanno sancito la debolezza e non la forza dell’Occidente in Siria. E probabilmente l’impunità totale (almeno per ora) dei crimini dei quali si è macchiato negli ultimi otto anni il dittatore Bashar el-Assad. E non cambierà nulla al tavolo dei “padroni” della nuova Siria.

Perché Trump non vede l’ora di lasciare il terreno, dopo aver abbandonato anche gli alleati curdi nelle mani dei turchi. Perché la Dgse francese sta smobilitando i propri agenti come le forze speciali da un’area tradizionalmente “di interesse”, perché la Gran Bretagna ha ormai deciso che il jihadismo del Daesh non lo si combatte più all’origine, ma all’arrivo in patria.

Ecco perché in Siria si tornerà a morire

Così in Siria, dopo il clamore dei prossimi giorni, le condanne e le inconcludenti (perché paralizzate) riunioni del Consiglio di sicurezza Onu e l’improbabile replica dei raid da parte di Trump e alleati, si tornerà a morire. Resta la ridotta di Idlib dove si è concentra la “feccia” del jihadismo (di ogni parte e colore, compreso quello alimentato dai sauditi spettatori interessati dei recenti sviluppi in chiave anti-iraniana con Israele). Lì si combatterà ancora e ognuno cercherà di salvare i salvabili. Allungando ancora la guerra più lunga del Medio Oriente.Bisognerà capire anche come si comporteranno i tre attori, quelli occidentali: che hanno parte in commedia, ma anche grandi necessità a casa loro. Inutile ricordare quello che si è detto in questi giorni dei guai e scandali di Donald Trump in America e della necessità di “distogliere” da essi l’”attenzione”.

O dell’altrettanta scomoda situazione di Theresa May, che con i russi ha già in corso il braccio di ferro su nervino e spie e una Brexit che rischia di farla cadere dal trono. Macron invece avrebbe da “guadagnarci” solo una repentina salita nei sondaggi, che in queste settimane hanno portato alla luce un progressivo disamore dei francesi nei suoi confronti? Forse no, perché l’allontanamento “militare” dall’Eliseo da parte di Angela Merkel, tradizionale alleato europeo, dice anche un’altra cosa. Macron sembra pronto a ricoprire nella Ue a 27, cioè tra un anno dopo l’addio di Londra, il ruolo di partner della Casa Bianca. E, da sempre, le alleanze si consolidano in guerra e non in pace.

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