martedì 6 gennaio 2015
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Caro direttore, parrà strano ai più, ma a me la vicenda dei vigili urbani di Roma ha messo il buonumore. Mi rendo conto che stiamo parlando di una storia seria, che segue di pochi giorni quella ancor più grave di infiltrazioni mafiose nella capitale, ma vorrei tentare di sdrammatizzare un po’. Per una serie di ragioni. Innanzitutto, vorrei dire al sindaco Ignazio Marino di calmarsi. Certo, doveva dare un segnale; ma minacciare di licenziare quasi un intero corpo di vigili non so dove lo condurrà. Non sarà facile, in primo luogo, all’Inps distinguere tra malati veri e immaginari. Tra l’altro, a me hanno insegnato che in taluni casi (e la notte di Capodanno con i botti era proprio uno di questi casi) si va al lavoro anche con la febbre. Inoltre, se a qualcuno venisse in mente di punire i politici assenteisti e fannulloni si aprirebbe una caccia alle streghe interminabile. Tutti hanno le loro ragioni. La protesta (perché di questo si tratta) dei vigili urbani di Roma contro il piano di rotazione della Giunta comunale mi ha ricordato, con le dovute proporzioni, la protesta della polizia americana contro il sindaco di New York. Questa vicenda, dicevo, nonostante tutto mi ha messo il buonumore. Perché si tende sempre a pensare che gli italiani sono un popolo di poeti e navigatori, e in parte ciò è assolutamente vero; però più che santi ed eroi, specie nel tempo che viviamo, noi italiani siamo soprattutto uomini normali, con tutti i pregi e difetti che ciò comporta. L’aveva intuito, prima di tutti, il grande attore romano Alberto Sordi, che in queste ore mi è tornato in mente (ecco spiegato il motivo del mio buonumore) per la sua indimenticabile interpretazione de “Il vigile”. Chiudere gli occhi e immaginare che al posto del sindaco Vittorio De Sica, che nel film viene multato dal fermo e incorruttibile vigile Sordi per eccesso di velocità, ci sia il sindaco della capitale Marino, mi ha fatto ridere di gusto e di cuore. Forse, con i lavoratori italiani, abituati da decenni a una certa maniera di operare, bisogna usare più la carota che la frusta e il bastone. E soprattutto bisogna essere d’esempio, predicando meno e razzolando meglio.
Stefano Masino, Asti
L’ultima che ha detto, caro signor Masino, l’ultima che ha detto… Tra le sue battute finali trovo, infatti, la valutazione che più mi convince tra le molte che, con garbo e bella scrittura, mette in fila nella sua lettera. L’esemplarità degli amministratori pubblici – in tutti i gradi di governo e di potere – è la “prima regola”. Chi sta in alto fissa in qualche modo l’asticella del decoro, del senso del dovere, persino dell’abnegazione con i quali si rende servizio alla comunità e si dà onore all’istituzione esercitando un ruolo pubblico. Il livello qualitativo del lavoro per la Città (la Regione, lo Stato) dipende grandemente da questo. E il rispetto vero, sereno, puntuale della legge saldamente fondata (e non palesemente ingiusta o tale da suscitare giustificata obiezione morale), che si è chiamati ad applicare, è parte integrante di questa “prima regola” dell’esemplarità. Spero che, tra i molti grattacapi, dopo i “matrimoni” tra persone dello stesso sesso dimostrativi e contra legem messi in scena in Campidoglio e altri incidenti di percorso, il sindaco della Capitale Ignazio Marino abbia tempo, modo, umiltà e coraggio per ripensare anche a questo.
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