venerdì 18 luglio 2014
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Lo si è sempre considerato un "falco", lui stesso aborriva «il lassismo dei laburisti e dei pacifisti di Israele», nel 2005 si dimise da ministro in segno di protesta contro il ritiro da Gaza deciso da Ariel Sharon, nel 2009 ritornò al potere spiegando agli Stati Uniti che solo un uomo duro e di destra può ottenere la pace con Hamas e i palestinesi. Così era Benjamin Netanyahu, detto "Bibi", fratello dell’eroe morto a Entebbe ed egli stesso ex soldato specializzato in antiterrorismo. Ora però il premier israeliano è cambiato, il suo volto è diverso, le sue scelte fanno scandalo all’interno della compagine di governo.Il quotidiano di sinistra "Haaretz" lo ha definito «un eroe tragico, che ha detto addio all’immagine del leader che gestisce il terrorismo con un pugno di ferro». Lodato dalla sinistra, contestato dal suo partito, i più oltranzisti del suo governo – in testa a tutti il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman – gli intimano di dare il via all’attacco di terra a Gaza, in vista di un’occupazione della Striscia che potrebbe durare mesi. Alla fine lo ha deciso, ma facendo tesoro delle passate guerre di Israele. Ripensa alla strategia fallimentare del suo predecessore Ehud Olmert – che nel 2006 si lasciò abbindolare da alcuni generali (forse perché, caso finora unico nella storia di Israele, non aveva mai prestato servizio militare) credendo di poter battere Hezbollah con il solo concorso dell’aviazione – e anche alla non vittoriosa campagna contro Gaza del 2008-2009, l’operazione "Cast Lead, e a quella del 2012, "Pillar of Cloud", entrambe conclusesi con la prevedibile sperequazione fra le vittime civili nella Striscia e quelle di Israele.Da questo cul de sac Netanyahu vorrebbe uscire con una strategia nuova, un’invenzione che sposti i termini del problema più in là senza concedere ad Hamas un lasciapassare che metta a repentaglio la sicurezza di Israele. Una soluzione, temeraria e difficile, ci sarebbe: quella di dare ad Abu Mazen più autorevolezza, più potere e mano libera su Gaza. Finora Israele, Netanyahu in particolare, ha fatto di tutto per depotenziare la figura del leader dell’Anp, ridicolizzandolo per la sua moderazione quando si trattava di mettere la briglia ad Hamas o enfatizzandone il ruolo collaborativo quando si è trattato di utilizzare l’intelligence palestinese in Cisgiordania per scovare i responsabili dell’eccidio dei tre giovani ebrei a Hebron.Invece paradossalmente proprio Abu Mazen, il moderato, il "democristiano" (se si può dire di un musulmano...) travestito da leader arabo potrebbe essere la chiave di volta per sciogliere le catene di Gaza e ripristinare un governo presieduto da Fatah che garantisca il flusso di persone e cose attraverso il valico di Rafah con l’Egitto e in qualche modo dia a Cisgiordania e Gaza quell’unità per lo meno politica senza la quale non vi sarà mai uno Stato palestinese degno di questo nome. Netanyahu sta rimeditando tutto ciò. Certo, l’operazione "Protective Edge" ha spezzato sul nascere la fragile intesa politica fra Fatah e Hamas dopo la rottura del 2007, ma le tessere del puzzle palestinese rimangono le stesse e nessuna vittoria sul campo – né quella mediatica di Hamas né quella militare di Tsahal (le forze armate israeliane) – è in grado di cambiarne la fisionomia. Ma è proprio questo il problema del premier israeliano: evitare assolutamente che Hamas, nonostante sia molto indebolita ed abbia perduto due tradizionali alleati, l’Egitto dei Fratelli Musulmani e la Siria di Bashar al-Assad, scompaia dalla scena. L’alternativa sarebbe una destabilizzazione di tutta l’area e una prateria vergine a disposizione delle infiltrazioni jihadiste e dei simpatizzanti del Califfato. Come dire, il peggior scenario possibile.Per questo il "falco" Netanyahu sta mutando la propria livrea. Drasticamente. Non è più un uccello predatore. Ora è una volpe. Questo è diventato oggi il premier israeliano. E chissà che proprio questa mutazione porti a esiti nuovi. Esiti che l’attacco di terra ordinato da Netanyahu a tarda sera sembrerebbe invalidare. Ma questa è una delle tante contraddizioni che il rovente confronto fra Israele e il popolo palestinese reca con sé, come una maledizione. E le terribili e inutile guerre che esso scatena ne sono la testimonianza più tragica.
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