sabato 7 luglio 2012
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La Libia del dopo-Gheddafi si reca oggi alle urne per eleggere i duecento rappresentanti del Maglis el-Watani, l’Assemblea Nazionale che dovrà a sua volta nominare un nuovo esecutivo e indire nel 2013 le elezioni politiche (ma non, a sorpresa, scrivere la Costituzione, con una decisione dell’ultim’ora che lascia perplessi sul rispetto delle regole e delle procedure). Un traguardo comunque impensato fino a un anno fa, quando la Libia era ancora dominata dal pluriquarantennale regime del colonnello Gheddafi, permissivo e lasco nel vellicare i vizi di fondo di un popolo artatamente mantenuto in una sorta di perenne adolescenza quanto crudele e sanguinario nello stroncare ogni focolaio di opposizione.Due milioni e settecentomila aventi diritto voteranno per dare 100 seggi alla Tripolitania, 60 alla Cirenaica e 40 al Fezzan, a compimento di quella primavera di rivolta cominciata nel marzo del 2011 e, per certi versi, per quelle premesse tradite e le tante promesse non mantenute, molto simile alle primavere egiziana e tunisina.Ma la similitudine più smagliante con le nazioni arabe confinanti sta nel singolare derby che anche qui – a dispetto dei 142 partiti ufficialmente in campo – si riduce alla contesa fra due grandi movimenti di ispirazione religiosa, gli islamisti di Giustizia e Sviluppo (braccio politico dei Fratelli Musulmani, molto popolare in Cirenaica) e il gruppo al-Watan (La Nazione), guidato da Abdel Hakim Belhaj, ex leader del Gruppo Combattente dei Libici Islamici e a suo tempo militante nelle file jihadiste, che riscuote grandi consensi in Tripolitania e attira il voto delle tribù Zintan e dell’area di Misurata. Moderati i primi, salafiti dichiarati i secondi.C’è, a dire il vero, anche un terzo incomodo, l’Alleanza delle Forze Nazionali, cartello – per così dire – laico, guidato dall’ex premier del Consiglio Nazionale di Transizione (Cnt), Mahmoud Jibril. Diciamo "laico" con molta circospezione, in quanto alla vigilia del voto il Cnt stesso ha esplicitamente preso posizione dichiarando che la futura Costituzione dovrà ispirarsi principalmente alla sharia, la legge coranica. Ma non è una novità.Nel corso della nostra recente inchiesta fra le fazioni che si contendono il potere in Libia, appurammo senza grande sforzo che sia i moderati di Mohammed Sawan (il candidato principale dei Fratelli Musulmani) sia i salafiti di al-Watan puntano proprio sul risveglio religioso per accattivarsi l’elettorato libico per decenni ingabbiato nel laicismo di Stato di Muhammar Gheddafi: in altri termini, l’islam come riscatto morale dopo la lunga notte della dittatura, il Corano che va a sostituire il Libretto verde del Rais.Moderati e salafiti, si profetizza, faranno il bottino più consistente di queste prime libere elezioni. Sullo sfondo c’è un Paese le cui ferite sono tutt’altro che rimarginate e dove lo Stato di diritto è una pura chimera e le vendette, le sopraffazioni, le incarcerazioni arbitrarie, le torture sono ancora all’ordine del giorno.Le bande organizzate e le fazioni dominano tuttora sul territorio, senza che le forze dell’ordine, esigue, timorose, male organizzate riescano a imporre la propria presenza. L’esercito stesso, umiliato dai raid della Nato, è di fatto commissariato da funzionari civili, esponenti di al-Watan, gli ex qaedisti e i salafiti duri e puri che non hanno mai indossato in vita loro un’uniforme, se non quella del mujahiddin nei campi di addestramento in Afghanistan. E non si esclude che la Cirenaica, da sempre insofferente nei confronti del potere centrale, mediti una traumatica secessione mascherata da federalismo: giusto ieri una protesta armata a Ras Lanouf, a metà strada fra Bengasi e Misurata, ha costretto due terminali petroliferi (gli stessi da cui si approvvigiona l’Italia) a rallentare la produzione.Le elezioni stesse si svolgono sotto la minaccia di attentati da parte di frange filo-gheddafiane, che soprattutto nell’immenso e spopolato Fezzan puntano all’indipendenza. Noi non vogliamo una democrazia all’occidentale», gridano da Bengasi a Tripoli i più carismatici fra gli islamisti. La Nato – dicono in molti – ha vinto sul piano militare, ma i veri trionfatori su quello politico sono certamente il Qatar e l’Arabia Saudita che ora, attendendo il responso delle urne, sanno di poter passare all’incasso.
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