sabato 23 luglio 2011
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Tradita. Si riassume in una sola parola la storia di Arlina, bambina romena, mandata sul marciapiede da un giovane connazionale, passata di mano in mano da decine di “utenti” italiani, messa incinta da uno di loro, fatta abortire dal connazionale di cui sopra, rimandata il giorno dopo sullo stesso marciapiede, dove altri “utenti” italiani se la sono ripassata di mano in mano, lei e il suo grembo violato solo poche ore prima... Tutto ciò accadeva nella favela desolata che in questo caso si chiama Roma, via Aurelia, ma che può essere ovunque: non un luogo fisico, infatti, ma un non–luogo morale. Dove un uomo diventa belva, lì è la favela di Arlina e di “quelle come lei”.Sono una decina le ragazzine romene salvate in queste ore sull’Aurelia dalla Polizia di Roma Capitale, da mesi tenute sotto minaccia e costrette a darsi senza tregua finché non avevano raggiunto la somma da consegnare ogni giorno ai loro carnefici, due connazionali tra i venticinque e i trent’anni, che per ognuna di loro avevano stabilito tutto: tariffe e prestazioni. Arlina fruttava parecchio proprio per i suoi quindici anni, una “primizia” molto apprezzata dai nostri maschi italiani, sempre più alla ricerca di carne bambina. Ogni alba, quando smontava, consegnava tra i settecento e i mille euro, dieci volte più delle compagne maggiorenni, ma di quei soldi non le spettava nulla, come hanno scoperto ieri le psicologhe e le poliziotte che pian piano l’hanno incoraggiata a raccontare. Anche solo per mangiare o per comprarsi un vestito, doveva tendere la mano al suo aguzzino e chiedere. D’altra parte era abituata a farlo da tempo, perché l’uomo belva sa bene dove azzannare e le sue prede le cerca nella povertà, dove il bisogno rende fragili e la sua mano di carnefice verrà afferrata con amore e speranza, come fosse la mano di un salvatore. Con amore e speranza Arlina aveva seguito fino in Italia quel ragazzo, che a lei – come a chissà quante altre – aveva parlato di sentimenti eterni, di un futuro insieme, di una casa da costruire e nella quale diventare una famiglia. Per lui, per quelle sue promesse, ogni incubo le era apparso un sogno, ogni umiliazione un pegno d’amore offerto al suo uomo, un sacrificio sopportabile perché chiesto da lui. Tradita, mille volte tradita. Tradita perché venduta. Tradita perché resa schiava e concessa alle voglie dei rapaci. Tradita perché derubata e maltrattata. Ma soprattutto tradita perché innamorata: come si sentirà Arlina quando si sveglierà dall’incubo in cui ancora vegeta e aprirà gli occhi? Sanguinerà nell’anima per quei mille volti di maschi sconosciuti, congestionati dal piacere a un palmo dal suo, e per le botte, le minacce, le privazioni, certo, ma soprattutto sprofonderà quando saprà che lui, l’uomo che ancora ieri tentava di difendere dietro un muro di silenzio, non l’aveva mai amata. Questo è ciò che le ruberà tutto in un istante, illusioni, innocenza, fiducia, autostima, e questo è il vero crimine del carnefice, colpevole del più abietto dei delitti: l’inganno di chi si fidava.Quasi sempre – spiegano alla Polizia – all’origine di queste tragedie c’è una promessa d’amore, e poi l’ideale che si infrange. È allora che Arlina e “quelle come lei” diventano improvvisamente donne, invecchiano in un giorno, delle bambine che sono non resta traccia sotto il trucco volgare e un vestito insultante. Per colpa del quale molti, i benpensanti, assolvono insieme aguzzini e clienti, ammiccando maliziosi, «bambine quelle? ma le hai viste?»... Così le pretende il mercato, questa è la “domanda” degli “utenti”, il cui appetito di donne da sfregiare trova più appagamento se le divora nel loro sbocciare. Può avvenire tutto questo, in Italia, a Roma, nel 2011? Può, perché avviene. Ma avviene perché c’è ancora chi pensa che la donna, giovane o adulta che sia, si possa usare. E che tradirla, in qualsiasi maniera lo si intenda, è un peccato veniale. Così può accadere che si arrivi a tanto: a strapparle suo figlio dal grembo e il giorno dopo rimandarla sulla strada.Se questo è un uomo...
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