venerdì 22 gennaio 2010
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Condannati a non far nulla per un anno o due. O peggio a lavorare in nero. Oggi in Italia sono circa 126.000 i ragazzi tra i 14 e i 17 anni che abbandonano i percorsi di istruzione e formazione professionale senza conseguire una qualifica o un titolo di studio. Un esercito, quello dei ragazzi che non studiano né lavorano, quantificabile intorno al 5,4% dei 14- 17enni, secondo l’ultimo rapporto Isfol. Un dato ancora più preoccupante per il Mezzogiorno, dove sono oltre 50mila i fuoriusciti dal sistema educativo e formativo senza aver adempiuto all’obbligo formativo. Le ragioni di questa emergenza, che riguarda i più giovani, sono varie. Una delle cause, però, può essere sicuramente ricondotta alla mancata attuazione della legge Biagi in materia di ' Apprendistato per l’esercizio del diritto- dovere di istruzione e formazione'. Un apprendistato specifico, che non è un semplice contratto di lavoro, ma un percorso educativo e formativo svolto in ambiente di lavoro con adeguata formazione esterna. La non attuazione di questa tipologia di apprendistato, prevista dalla legge Biagi, è dovuta a ragioni prevalentemente ideologiche e cioè all’idea – ma bisognerebbe dire al pregiudizio – che i percorsi di crescita culturali, educativi e formativi si realizzino in due tempi ben distinti: prima lo studio poi il lavoro. Un’idea che di certo non aiuta i giovani a intraprendere un percorso scolastico di tipo professionalizzante. Incentivando invece l’iscrizione di massa a percorsi ' nobili', di taglio liceale e universitario, anche se non coerenti con le attitudini, i talenti e le potenzialità di ciascuna persona. È anche da qui che nasce il disagio giovanile, il precariato, la lunga transizione dal sistema educativo e formativo al mondo del lavoro. Si spiega anche così il fenomeno dell’abbandono scolastico e del disadattamento scolastico ed educativo. Ed è questa la ragione di quel fenomeno, tutto italiano, di una moltitudine di giovani lavoratori, oltre 350mila, in possesso della sola licenza media e che non hanno più la possibilità concreta di acquisire una qualifica professionale del secondo ciclo. Per i giovani che hanno compiuto il quattordicesimo anno di età e che non hanno proseguito nel percorso educativo, o hanno abbandonato al primo anno, non esistono alternative, almeno fino al sedicesimo anno di età, alla inattività o al lavoro nero. Con l’emendamento in discussione in queste ore in Parlamento si cerca semplicemente di riattivare uno dei possibili canali di recupero dei tanti giovani italiani fuoriusciti dal sistema educativo di istruzione e formazione, consentendo loro di acquisire, attraverso un apprendimento in ambiente di lavoro, una qualifica e cioè un titolo di studio del secondo ciclo. A differenza del contratto di apprendistato professionalizzante, che è oggi l’unica tipologia di apprendistato pienamente operativa, l’' apprendistato per l’esercizio del diritto dovere di istruzione e formazione' è una metodologia didattica in assetto di lavoro volta a riscoprire, secondo le indicazioni comunitarie, il valore formativo e culturale del lavoro. Ed è ciò che avviene oggi in Germania, Austria, Danimarca, Svezia, e in tutti quei Paesi che hanno da tempo avviato un processo di integrazione fra il mondo della scuola e il mondo del lavoro. Un’isola felice anche nel nostro Paese è la Provincia di Bolzano che da qualche anno utilizza l’apprendistato scolastico della legge Biagi per i giovani a partire dai 15 anni. Don Bosco sottolineava spesso il valore dell’' intelligenza delle mani', il valore educativo del lavoro. Esiste poi in Italia un patrimonio di sapienza artigiana, di professionalità tecniche da recuperare e valorizzare. Non si capisce davvero, allora, perché negare una opportunità in più a quell’esercito di 126mila ragazzi, che sono stati lasciati soli dalla scuola e dal mondo produttivo.
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