Anche un solo missile in meno lanciato o una bomba non sganciata, dopo tre anni di guerra, possono essere un risultato da salutare con soddisfazione. Ma, nell’immediato, la lunga telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin lascia intendere che sarà più facile il riavvicinamento tra Washington e Mosca che una fine rapida della guerra in Ucraina. Lo stop di 30 giorni agli attacchi contro le infrastrutture energetiche, che il capo del Cremlino ha accettato su proposta del presidente americano, è la prima limitazione autoimposta alle azioni belliche russe dall’inizio del conflitto. Si capirà presto se sarà accompagnato da una riduzione degli attacchi su altri obiettivi civili, che di recente si sono moltiplicati in concomitanza con la sospensione del sostegno e della collaborazione militare Usa alle forze armate ucraine.
Il colloquio tra i due leader è stato intenso. Tuttavia, il fatto che si sia parlato di Medio Oriente, Iran e Israele – con un’importante concessione russa, se sarà confermata, alla sicurezza di Tel Aviv e a precisi vincoli alla capacità offensiva iraniana – fa intendere che per i due interlocutori il dossier sulla guerra in Europa è soltanto uno tra gli elementi di un nuovo equilibrio tra super potenze. Quella “spartizione” degli scacchieri globali che, nei loro piani, andrà costruita nei prossimi mesi e anni. Erano infatti tanti e tali i nodi per una vera tregua in Ucraina, che avrebbero dovuto monopolizzare la conversazione. Invece, il tutto è stato rimandato a negoziati da riprendere probabilmente in Arabia Saudita, non è dato di sapere se con la presenza di una delegazione di Kiev.
Putin mette condizioni difficili per l’interruzione dei combattimenti, che in questo momento non gli conviene, mentre sta per riprendere il controllo totale del Kursk parzialmente occupato dagli ucraini nella scorsa estate e facendo ulteriori conquiste territoriali nel Donbass. A quanto reso noto, Trump non ha chiesto nulla di più di ciò che poteva ottenere in questa fase o, forse, ha subito invece un indigesto “no” dalla sua controparte sulla tregua totale di un mese, che la Casa Bianca e il suo inviato Steve Witkoff, con un certo ottimismo, avevano fatto intendere come vicina alla vigilia del confronto diretto. Molto di più si è progrediti, stando ai resoconti diffusi, su altri scacchieri. La saldatura delle crisi internazionali più gravi aperte in questo momento è arrivata proprio nel giorno in cui è saltata la precaria tregua a Gaza, e Israele ha ricominciato i bombardamenti martellanti sulla Striscia.
La narrazione americana è infatti quella di una ripresa delle relazioni tra i due Paesi, ridotte ai minimi dopo che Joe Biden aveva chiamato il capo del Cremlino “dittatore”, “assassino” e “criminale di guerra”. Per Mosca, il mondo è addirittura diventato un posto più sicuro a seguito del riavvicinamento sancito ieri. Probabilmente, calata l’enfasi dei passaggi concitati di ore comunque storiche, si potrà comprendere quanto Putin sia disposto a concedere non a Zelensky, ma soltanto a Trump. Se mantenuto, il cessate il fuoco rispetto alle centrali e alle linee di distribuzione dell’energia può essere un buon affare per l’Armata russa, che continuerà ad avanzare, e un ulteriore colpo per l’Ucraina che, in difficoltà sul campo, riusciva ancora a pungere il nemico in casa propria con i droni e i missili a lunga gittata.
Rimangono, in ogni caso, molte incognite su come proseguirà la trattativa nelle prossime settimane. Sul tavolo sembra vi sarà un alt alle operazioni anche nel Mar Nero, per consentire il traffico commerciale e, in prospettiva, l’idea di una “pace duratura”. Quello che tutti sperano deve ancora concretizzarsi nei suoi contorni più precisi. Come vi si possa arrivare resta per adesso soprattutto nelle mani di Putin, poco disposto a fare aperture significative, anzi, determinato a esigere che si fermino le forniture di armi a Kiev. Lo stesso comunicato di fonte americana non lascia molti margini alle aspettative del popolo ucraino. La guerra è citata come un accadimento senza responsabili precisi, che doveva essere evitata e le cui spese potrebbero venire meglio impiegate. Vero, ma ci sono aggressori e invasi.
Non lo si può mai dimenticare, così come la pace, oltre a essere solida, deve risultare giusta. In questi frangenti, nei quali Stati Uniti e Russia hanno preso completamente la scena, l’Europa è chiamata a trovare il modo di ritagliarsi uno spazio, per fare valere le istanze degli aggrediti (continuando gli aiuti) e essere parte del processo che auspicabilmente si metterà ora in moto. Le iniziative per costituire una forza di interposizione possono essere un modo per contribuire alla conclusione del conflitto, a condizione che si ricrei un dialogo con l’America. Se Trump ha sperimentato la durezza della linea del Cremlino, si aprirà uno spiraglio di ricompattamento del fronte occidentale. Di certo si è entrati in una fase nuova e imprevedibile, che riserverà ulteriori sorprese.