Giusto sviluppo, oltre i luoghi comuni
martedì 5 novembre 2019

Caro direttore,
a cominciare dal rapporto Svimez presentato ieri, non c’è indicatore socioeconomico che non segnali il ritardo del Mezzogiorno rispetto alle aree del Centro-Nord. Divari nei fondamentali dell’economia (dal Pil pro capite ai tassi di attività e di occupazione, al livello degli investimenti, alla ricchezza delle famiglie, ai dati Ocse-Pisa e così via). Divari particolarmente pesanti nella dotazione dei servizi essenziali sia per il benessere e la libertà dei cittadini sia per l’efficienza e la concorrenzialità delle imprese.
Il problema è reale, ma non è suscettibile di banalizzazioni tanto fuorvianti quanto, talvolta, interessate. La banalizzazione, ad esempio, delle due Italie, tra loro contrapposte. Una, capace di competere con successo con le regioni più sviluppate dell’Europa; l’altra, collocata ai margini, sempre più simile alle zone povere dell’Unione Europea. La verità è che non c’è una parte dell’Italia che va bene e un’altra che va male. Tutto il Paese – nella sua interezza, Nord compreso – presenta problemi di crescita e di competitività.

In altri termini non esiste alcuna correlazione tra l’«arretratezza» del Sud e l’andamento non soddisfacente dell’economia complessiva. A ben vedere, in tutti questi anni il Mezzogiorno è risultato, in qualche misura, funzionale al sostegno del Centro-Nord. Si pensi al trasferimento di capitale umano. L’emigrazione è ripresa da un decennio, meno consistente rispetto a un tempo, ma di più elevata qua-lità, con la presenza massiccia al Nord di giovani del Sud ad elevata scolarizzazione e desiderosi di valorizzare i propri talenti. Non si trascuri neppure il fatto che il nostro Meridione – da sempre un importatore netto – costituisce, nonostante la crisi, un significativo mercato di sbocco per il resto del Paese.

I flussi finanziari di spesa pubblica di cui il Mezzogiorno è stato ed è destinatario – per quanto rilevanti – sono, specie in questi ultimi tempi, molto meno di quello che avrebbero dovuto essere. In altri termini abbiamo assistito a una sorta di 'tradimento' del principio di addizionalità delle risorse. La quantità impatta sulla qualità della spesa pubblica. Una spesa pubblica sovente frammentaria, non a sostegno di investimenti propulsivi, ma spesso e volentieri di consumi improduttivi e di facciata, gestita con grandi ritardi, in maniera non trasparente, inefficiente, clientelare, con infiltrazioni malavitose. La storia viene da lontano. Nel corso degli anni l’impegno pubblico nei confronti del Mezzogiorno è stato, in non pochi casi, una sorta di prezzo che occorreva pagare per avere le mani libere su altri fronti e nel contempo poter contare sull’alleanza di chi a scala locale gestiva i flussi di spesa monetizzando un consenso a buon mercato.

A un modello interpretativo fondato sulla contrapposizione dualistica tra Nord e Sud - quasi fossimo in presenza di un gioco a somma zero – occorre sostituire un’ipotesi di ragionamento (si vedano appunto tra l’altro i rapporti Svimez) profondamente diversa. Questa in buona sostanza. Il Mezzogiorno anticipa, amplifica i limiti e i bloccaggi di tutto il Paese. Prefigura un futuro fatto di disoccupazione giovanile, precarietà diffusa, dequalificazione della base industriale, involuzione del settore pubblico, corruzione e illegalità, egoismi individuali e corporativi. Tutto il Paese è bloccato dalle stesse cause che al Sud si presentano in misura esponenziale. Da una circolarità viziosa occorre passare a una circolarità virtuosa. Questa è la sfida di una nuova politica di sviluppo per il nostro Paese. Sviluppo economico, sociale, culturale, morale.

Uno sviluppo che non nega il rigore, ma che è capace di integrare crescita, coesione, solidarietà, rimozione degli squilibri, valorizzazione di tutte le risorse e potenzialità. Abbiamo bisogno di politiche generali, aventi obiettivi riferiti a tutto il Paese per poi concentrarsi sulle condizioni ambientali che influiscono sulla loro maggiore o minore efficacia con riferimento alle diverse aree territoriali. In questo ordine di idee il Mezzogiorno rappresenta un problema, ma al tempo stesso è anche una soluzione o meglio una grande opportunità per il bene di tutti. Per crescere di più nel suo insieme l’Italia ha bisogno dello sviluppo del Mezzogiorno. Nel Sud c’è un grande divario tra le risorse disponibili (umane, ambientali, relazionali) e i risultati effettivamente conseguiti.

Ciò a motivo sia del sottoutilizzo e anche spreco delle risorse stesse sia delle difficili condizioni in cui operano i diversi soggetti (imprese, università, scuole, organizzazioni della società civile). Intervenire con politiche mirate e partecipate può contribuire a liberare un potenziale di crescita enorme, a vantaggio di tutto il Paese nell’ambito appunto di una circolarità virtuosa: più imprese, più occupazione, più domanda, meno assistenza, più gettito fiscale, meno debito. Il Mezzogiorno, con la sua dotazione di risorse umane, ambientali, storiche e culturali, può fare molto per tutto il Paese nell’ambito di una davvero rinnovata politica economica e sociale.

Professore emerito Università di Genova

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