giovedì 30 dicembre 2010
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Caro direttore,il 16 dicembre ad Annozero un giornalista del "Giornale" ha affermato che i veri nemici dei giovani sono i pensionati. Sono loro i nemici dei giovani arrabbiati, dei giovani che hanno manifestato a ripetizione a Roma e in altre città italiane, dei giovani che non trovano lavoro e che difficilmente possono avere un futuro! Finalmente abbiamo scoperto chi sono i colpevoli di tanta disillusione e del male d’Italia... Il fatto più grave, a mio avviso, è che nessuno in quella trasmissione – né i politici né il conduttore – hanno detto nulla, lasciando così miseramente entrare il concetto vergognoso che i pensionati "distruggono" i giovani che sono il futuro della nostra società. Come si fa a sostenere che chi ha lavorato anche oltre 40 anni, pagando regolarmente i contributi, oggi è il ladro del futuro dei nostri figli? Ho trovato estremamente triste che ai giovani arrabbiati e delusi si sia voluto porgere su un piatto la testa dei pensionati, quei pensionati che forse davvero non contano più niente. E se non contano più niente, perché votare?

Stefania Brugnera

Lei ha ragioni indubitabili e che condivido, gentile signora Stefania, ma il collega giornalista che ha suscitato la sua indignazione purtroppo – e toni a parte – non ha tutti i torti. Meglio che mi spieghi subito, a scanso di equivoci. Impostare male la questione può, infatti, accendere mischie polemiche là dove c’è, invece, da accendere solo attenzioni... Non ha alcun senso descrivere i pensionati come i "nemici" dei giovani, neanche per sottolineare la realtà di un patente e potente conflitto di interessi tra una generazione di larghissimamente "non garantiti" che si sta affacciando alla speranza di una vita autonoma (e magari vorrebbe anche metter su famiglia) e le generazioni che l’hanno preceduta, godendo di maggiori garanzie e di pensioni sudate e certe anche se, in genere, non da favola. Il conflitto però c’è, e nasce dalla sproporzione tra le risorse che il nostro Stato mette a disposizione degli uni (i giovani) e degli altri (i più anziani). Un calcolo a spanne – ma attendibile e impressionante – indica che i fondi impegnati per la parte più giovane della società e, dunque, per il futuro sono grossomodo la quarantesima parte di quelli comunque orientati verso i loro padri e i nonni. Il problema non è naturalmente di chi ha pagato i propri contributi e ha sgobbato per mantenere e far crescere famiglia e comunità civile, ma di chi amministra e destina i soldi di tutti, di chi – per farlo bene – dovrebbe "pensare" la nostra società e immaginarla non solo qui e ora ma anche tra dieci, trenta o cinquant’anni. Questo è – dovrebbe essere – il fare politica. Perché è solo così che si prepara il futuro. Ed è solo così che si rispetta la vita e il lavoro, oltre che la pensione, di chi ha dato tanto e si combatte il disagio di coloro che vita e lavoro devono e dovranno continuarli (e, sperabilmente, una pensione degna riceverla a tempo debito). Lo so, cara signora, che questa è una risposta breve, nella quale posso solo accennare dati e sottolineare urgenze, ma su Avvenire ci siamo occupati spesso della necessità di rifondare il nostro mercato del lavoro e il nostro Stato sociale all’insegna della duttilità e della sostenibilità, cioè della "presa in carico", di coloro che oggi – non solo tra i giovani, ma soprattutto tra di loro – ne sono tenuti ai margini. Per questo serve un’alleanza tra le generazioni, non una guerra. E chi fomenta il conflitto (se davvero a questo mira), o comunque lo lascia incubare, compie un errore terribile. Non ne abbiamo bisogno. Un caro saluto e un caldo augurio, a lei e a tutti i lettori: che il Capodanno ormai vicino sia il buon inizio di un tempo nuovo anche su questi importantissimi fronti.
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