martedì 23 novembre 2010
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«Ecco, ora mi cade addosso, non ho scampo». L’uomo di Dio Joseph Ratzinger confessa di aver pensato proprio questo, nell’istante interminabile che ha preceduto la sua elezione per il ministero di Pietro. È la barca di Pietro, in effetti, non una tavola da surf. Non ci sali sopra per scivolare spensierato dove ti porta l’onda. In verità, non ci saliresti proprio, fosse per te. Se poi pensi che devi guidarla nell’attuale «costellazione mondiale, con tutte le forze di distruzione che ci sono, con tutte le contraddizioni che in essa vivono», lo choc è inevitabile.Il papa Benedetto XVI, nel suo libro-intervista con Peter Seewald, Luce del mondo, che ora tutti potremo leggere (e andiamo davvero a leggercelo, cessando di affaticarci in pericolosi esercizi di stile sulle sue "spulciature"), usa più di una volta la parola «shock» (all’inglese). O espressioni equivalenti. Il tono fondamentale del suo discorrere svela, qui più che in altre conversazioni analoghe, il tono emotivo del suo personale confronto con l’enormità delle sfide che devono essere affrontate e portate da un uomo di Dio che «deve fare il Papa». Qui più che altrove, Benedetto XVI ci consente di entrare nel senso di sproporzione che accompagna ogni volta il sincero riconoscimento della portata degli eventi in cui il cristianesimo deve seminare il vangelo. E in tale cornice, ci rende affettuosamente partecipi della passione con la quale gli eventi devono essere abitati e vissuti, dal credente che accetta il ministero di Pietro, per onorare la consegna ricevuta.La sorpresa, che ci deve fare un gran bene, è proprio questa: «Anche il Papa fa questo». Anzi, il Papa in primo luogo. Il Papa attraversa lo sgomento della propria umana piccolezza, senza dissimularlo a se stesso, fingendosi un super-uomo. Il Papa accetta l’azzardo della fede e del suo migliore discernimento, sapendo che egli è il primo a doverlo onorare, perché è l’ultimo che vi si può sottrarre. Il Papa sa di avere deboli forze, proprio mentre accetta coraggiosamente il fatto che – finché ha forza – non può scaricare su altri neppure un grammo del compito che tocca a lui. Il Papa sa che nel piccolo punto del tempo e dello spazio in cui si ritrova, semplicemente umano com’è, deve riflettere, senza reticenze, la consapevolezza delle contraddizioni che abitano il Mondo e anche la Chiesa. Il Papa sa che, per questo, ha ogni genere di sostegno, nella Chiesa: dal più piccolo gesto di simpatia ai doni più grandi della collaborazione nel ministero. Ma sa anche, e lo sa perfettamente, che deve chiedere tutto questo, lui per primo, «come un mendicante» al Signore, «l’amico di antica data».Il Papa dice e lascia scrivere queste cose: nel genere, non paludato, della conversazione all’impronta. E in questo modo ci rende "reale" il ministero cristiano. E "reale" il cristianesimo. Il Papa esce dal mito, ed entra nel realismo della fede. Emozionato, a volte meravigliato, a volte impressionato, a volte accorato dell’enorme responsabilità di fronteggiare le potenze mondane, a volte sorridente del suo modo di essere fedele al ministero ricevuto, per tutti noi.La partitura di questa improvvisazione orchestrale in cui vibrano i contrappunti dell’uomo di Dio consegnato al ministero singolare del Papa, va ascoltata una prima volta – per intero – con questo orecchio sensibile. La musica di questa confessio papae è il suo insegnamento più profondo e originale per l’oggi del cristianesimo e dell’epoca. Ha una cadenza precisa, che ne armonizza la forma, per chi saprà ascoltare. «Tutta la mia vita è sempre stata attraversata da un filo conduttore, questo: il cristianesimo dà gioia, allarga gli orizzonti. In definitiva un’esistenza vissuta sempre e soltanto "contro" sarebbe insopportabile». Gli infaticabili decostruttori e dietrologi di ogni cosa, si fermino per una volta. E ascoltino questa musica. Poi parliamo.
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