lunedì 18 maggio 2015
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Il breve incontro in Vaticano fra papa Francesco e il presidente dell’Anp Abu Mazen alla vigilia della canonizzazione delle prime religiose palestinesi della storia contemporanea suggella senza ombre il passo decisivo della Santa Sede verso il riconoscimento giuridico dello Stato di Palestina. Un accordo destinato a regolare libertà di azione della Chiesa, giurisdizione, statuto personale, luoghi di culto, attività sociale e caritativa, mezzi di comunicazione sociale e questioni fiscali e di proprietà e la cui firma imminente si colloca – come afferma il segretario di Stato vaticano, cardinal Parolin – «nell’ottica di contribuire in maniera concreta alla realizzazione di un disegno che permetterebbe a due popoli di avere un proprio Stato, di vivere all’interno di ciascuno con confini sicuri e internazionalmente garantiti». Accordo che, come è noto, viene da lontano: da quell’intesa siglata fra la Santa Sede e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina il 15 febbraio 2000 e perfezionatasi nel corso degli anni fino a raggiungere un testo condiviso nell’incontro di Ramallah del febbraio 2014 fra le due delegazioni in continuità con la risoluzione Onu 67/19 del 29 novembre 2012 che riconosceva la Palestina quale "Stato osservatore non membro" delle Nazioni Unite.L’accordo, che comprensibilmente suscita preoccupazione e anche contrarietà in Israele, non vuol privilegiare l’uno o l’altro degli attori della lunga disputa in Terra Santa. «Israeliani e palestinesi – ha detto il Papa al termine dell’incontro con Abu Mazen – prendano decisioni coraggiose a favore della pace, con l’auspicio che si possano riprendere i negoziati diretti tra le parti per trovare una soluzione giusta e duratura al conflitto». Poche ore prima, il nuovo gabinetto guidato da Benjamin Netanyahu otteneva la fiducia alla Knesset, il Parlamento israeliano. Una maggioranza risicatissima, un solo seggio, per un governo che è forse il più schierato a destra della pluridecennale storia del Paese e dove il tema della sicurezza ha fatto premio in campagna elettorale su ogni altra istanza e il processo di pace è stato deliberatamente tenuto fuori dalla porta anche dai laburisti e dai partiti che oggi si trovano all’opposizione. Netanyahu stesso aveva promesso alla vigilia del voto che fino a quando fosse rimasto alla guida di Israele non avrebbe mai permesso la nascita di uno Stato palestinese. Le poltrone ministeriali e i posti chiave del resto sono in mano agli ultranazionalisti, come l’organismo militare che amministra e controlla i territori occupati.Né sfugge che nelle intenzioni del nuovo governo c’è una significativa ripresa degli insediamenti in Cisgiordania nonostante il monito – che come sempre cade nel vuoto – del Palazzo di Vetro. Prigioniero dell’ansia per un futuro che non sa come affrontare, Israele si trova di fronte all’analogo radicalismo da parte dell’ala più intransigente dell’arcipelago palestinese, quella di Hamas che controlla la Striscia di Gaza e che costringe l’anziano leader Abu Mazen a un perenne stallo politico, in bilico com’è fra la linea del dialogo con Israele e quella dello scontro interno con Hamas. Entrambi, la destra israeliana che vive in muta circospezione circondata da muraglie, girelli e check-point e la destra (sì, la destra!) palestinese di Hamas che vive rinchiusa in simmetrica prigione – quella di Gaza – avendo come unico programma l’annientamento dello Stato di Israele e la conservazione del proprio potere, stanno marciando fuori dalla storia. Ed è significativo che, da molti mesi, sia la diplomazia pontificia a far ripartire la ruota del mondo che non si consegna alla logica della separazione e della guerra: la mediazione tra Cuba e Stati Uniti, il digiuno per la Siria e i continui appelli per le minoranze perseguitate, l’impegno ad allentare la tensione bellica in Ucraina e lo scontro tra mondo occidentale e Russia, la prudente Ostpolitik con la Cina, e ora – di nuovo – l’impegno sul fronte del conflitto israelo-palestinese. Un nodo che i due contendenti non sono mai stati in grado di sciogliere da soli. Per questo hanno bisogno di aiuto a scorgere le strade possibili e necessarie della pace. Le strade più giuste, l’aiuto migliore disponibile.
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