Accoglienza e inclusione: passi per il ritorno al futuro
sabato 10 ottobre 2020

Dopo un’attesa di tredici mesi ha visto la luce la riforma dei cosiddetti 'decreti sicurezza', bandiera del sovranismo salviniano. I puntuali rilievi del presidente Mattarella sono stati finalmente recepiti dal governo Conte 2, grazie soprattutto al paziente lavoro di tessitura e mediazione del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. Per alcuni aspetti anzi la riforma è andata oltre, sia tornando alle regole di accoglienza pre-salviniane, sia introducendo significative novità. Con fatica e contrasti, l’Italia si sforza di uscire dall’angolo di Paese ideologicamente ostile ai richiedenti asilo, e più in generale ai cittadini stranieri qualificati come 'immigrati'. Un paese che aveva proclamato la «fine della compassione », sulla linea di Trump. Oltre alle regole, sembra cambiare la visione del fenomeno, il linguaggio adottato – decisivo, come ha ricordato il direttore di questo giornale – l’approccio culturale nei confronti del diritto umanitario.

I contenuti salienti del nuovo decreto immigrazione sono ormai noti. Ripristino di una forma di protezione internazionale aggiuntiva e flessibile, definita 'speciale'. Abrogazione, anche se non completa, della campagna di criminalizzazione delle Ong che salvano in mare persone in pericolo. Rilancio di un sistema di accoglienza dei richiedenti asilo (non dei 'migranti', come si sente ripetere, non si sa se per incuria o per alimentare volutamente la confusione) orientato all’integrazione, con il coinvolgimento attivo delle istituzioni locali. Reintroduzione dell’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, in modo che possano accedere alla sanità pubblica, all’istruzione e al collocamento.

L’elemento di maggiore novità, ben colto dall’Asgi (l’Associazione dei giuristi dell’immigrazione), spunta quasi in punta di piedi nelle pieghe del testo: il divieto di espulsione per chi ha conseguito una vita strutturata in Italia. Ossia – sembra di poter interpretare – chi ha raggiunto un certo livello d’integrazione, che verrebbe distrutto da un rimpatrio forzato. L’Italia si doterebbe quindi di uno strumento per la regolarizzazione caso per caso dei nuovi arrivati meritevoli, consentendo loro di proseguire un percorso di sviluppo umano nel nostro Paese. Dispositivi analoghi sono in vigore da anni in altri Stati europei, come Francia e Spagna.

Restano certamente degli aspetti critici, probabile esito delle complesse trattative tra i partiti della maggioranza, e più precisamente della volontà del M5s di rimanere almeno in parte fedele agli slogan di tempi non lontani. La legittimazione dei salvataggi in mare da parte delle Ong non è netta e irrevocabile, ma resta soggetta ad alcune condizioni. Le multe sono state drasticamente ridotte, ma non abolite. Il ministro dell’Interno può ancora impedire il transito e l’approdo alle navi delle organizzazioni umanitarie. Persiste quindi un alone di sospetto nei confronti dei salvataggi in mare, che d’altronde trova un riscontro nei blocchi delle navi operati tuttora sotto vari pretesti.

Veramente difficile da comprendere appare poi la norma che prevede tre anni di attesa per la valutazione delle domande di accesso alla cittadinanza italiana, giustamente criticata dai rappresentanti delle seconde generazioni immigrate. Certo, si tratta di un anno in meno rispetto ai quattro anni imposti da Salvini, ma anche di un anno in più rispetto alla normativa precedente. Dopo lo 'scandalo Suarez' era lecito attendersi un po’ più di coraggio dalle forze di governo. Qualcuno evidentemente ancora pensa che non siano abbastanza dieci anni più due di attesa per diventare italiani a tutti gli effetti.

Non è stata infine affrontata la questione dell’apertura di canali ragionevoli per l’ingresso in Italia per lavoro, magari per alcuni anni stagionale prima dell’accesso a un permesso stabile. Sarebbe un modo per disingolfare il canale dell’asilo, oggi l’unico di fatto accessibile per le popolazioni del Sud del mondo non appartenenti alle élite locali.

Il governo ha finalmente trovato il coraggio di cambiare, e un consenso sufficiente per sostenerlo. Vorremmo proseguisse sulla strada intrapresa, giacché altri passi sono necessari e non più rinviabili già durante l’esame parlamentare delle nuove e più sagge regole.

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