giovedì 8 agosto 2013
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Nelle ultime settimane si è assistito a una recrudescenza della storica controversia tra Spagna e Gran Bretagna sulla questione di Gibilterra. Ceduta al termine della guerra di successione spagnola, nel 1713, alla corona inglese, la restituzione della fortezza di Gibilterra è stata rivendicata dalla Spagna nei successivi tre secoli, anche con un sanguinoso assedio, al termine del XVIII secolo. Si pensava che lo spirito dell’unione europea, cui aderiscono i due paesi, avrebbe portato a un superamento di fatto delle tensioni, ma non è andata così. Nel 2009 il ministro degli esteri del governo socialista spagnolo, Miguel Angel Moratinos, dichiarava che la richiesta di recuperare la sovranità spagnola su Gibilterra restava «irrinunciabile», ma poi non diede seguito alla dichiarazione di principio, al punto che il suo successore attuale, il popolare Josè Garcìa Margallo, annunciando la possibilità di restrizioni sul diritto di transito verso la colonia britannica ha sostenuto polemicamente che «con Gibilterra è finita la ricreazione dell’epoca di Moratinos». È necessario tener conto di questo contenzioso permanente sulla sovranità per comprendere l’improvvisa esplosione di tensioni per cause che appaiono piuttosto modeste. Le autorità di Gibilterra, dopo che la sinistra ha ottenuto nelle recenti elezioni la maggioranza, hanno deciso unilateralmente di costruire dei blocchi di cemento, col pretesto di creare una barriera per il ripopolamento dei pesci e dei molluschi, di fatto per impedire ai pescatori spagnoli l’accesso a un’area marittima in cui lavoravano tradizionalmente. Il governo spagnolo ha reagito minacciando di far pagare un pedaggio di 50 euro a chiunque entri o esca dalla colonia britannica e persino di bloccare lo spazio aereo. Intanto ha intensificato i controlli di frontiera, il che rallenta il traffico in modo molto sensibile; per entrare o uscire da Gibilterra si impiegano oggi circa sei ore. Il premier britannico James Cameron ha chiamato il suo collega spagnolo Mariano Rajoy con l’obiettivo di rimettere la questione sui binari di una trattativa diplomatica «tra paesi amici e alleati», ma ha anche ribadito che la posizione britannica sulla sovranità non cambia. Intanto continuano le piccole provocazioni, ultima tra le quali il sequestro da parte delle autorità di Gibilterra di un peschereccio spagnolo per indagini sul contrabbando.Le ragioni specifiche del contrasto attuale appaiono nettamente sproporzionate rispetto alle ragioni politiche, esasperate in ambedue i campi, anche perché, come sempre, l’esibizione esagerata del patriottismo serve a nascondere o a mettere in secondo piano le difficoltà politiche o giudiziarie dei governanti. Gli argomenti della Spagna sulla prevalenza della continuità territoriale su antichi trattati coloniali, peraltro, vengono sostenuti per Gibilterra ma rifiutati per Ceuta e Melilla, enclaves spagnole coloniali in Africa. Cameron, per parte sua, deve reggere alla pressione del movimento antieuropeista, assai forte in Gran Bretagna, un cui esponente ha chiesto di «mandare subito una fregata a Gibilterra per ricordare a quelli di chi è la rocca».Il più indiziato di ricorrere all’aggravamento di una modesta tensione internazionale per nascondere i guai domestici, però, è Rajoy, che ha appena dovuto difendersi in Parlamento dalle accuse di aver ricevuto denaro in nero dall’ex amministratore del suo partito, incarcerato per vari reati. Inoltre le difficoltà economiche spingono le regioni spagnole della Catalogna e dei Paesi Baschi a rivendicare l’indipendenza, attraverso referendum simili a quello che sarà celebrato, col consenso di Cameron, per decidere del separatismo scozzese. Aprire un contenzioso con la Gran Bretagna può servire a bloccare o ridurre queste tendenze in nome di un rinascente nazionalismo? È difficile dirlo, ma è difficile sottrarsi al sospetto che proprio questa sia la ragione dell’aggravamento di una crisi che si sarebbe potuto gestire fin dall’inizio con trattative e ragionevolezza reciproca.
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