La questione industriale dentro la crisi
sabato 16 gennaio 2021

È inevitabile, a questo punto, per come si sono ingarbugliate le trame politico-istituzionali: la crisi di governo ruberà risorse di testa e di tempo a chi avrebbe il dovere di ricostruire il Paese dopo il colpo di maglio della pandemia. Difficile dire ora quanto sarà la 'distrazione', si spera poco. Perché questo dovrebbe essere l’anno in cui si gettano le basi – basi ben diverse – della comune ripresa e di una vasta resilienza. Il 2021 ha ricevuto in dote il Next Generation Eu e, non va dimenticato, il corollario di riforme necessarie per realizzarlo. Sarà pure questo l’anno in cui si giocano alcune grandi partite industriali, che potrebbero risultare decisive, se governate a dovere, per il futuro del nostro tessuto economico e sociale così drammaticamente ferito dal Covid-19.

Proprio adesso, cioè, guardando ai dossier aperti, serve più che mai una politica industriale all’altezza dei tempi. In ballo c’è anzitutto la Rete unica in banda ultralarga, con il matrimonio tutt’altro che scontato fra Open Fiber e Tim su cui far leva per la vera e piena digitalizzazione dello Stivale e la riduzione dei divari territoriali, soprattutto nella Pubblica amministrazione. Nel frattempo la più grande 'fabbrica' d’Italia, quella controllata dalla multinazionale Fiat-Chrysler, si unisce a quella della multinazionale a base francese Psa e prova ad affrontare un autentico cambio di paradigma nel settore automobilistico con il passaggio dai combustibili fossili a elettrico e idrogeno.

E mentre la nuova Alitalia (di Stato) fatica a trovare i soldi per pagare gli stipendi, Mediaset ha in animo di creare, Vivendi permettendo, un polo europeo delle televisioni, cercando di contrastare l’offensiva dei colossi digitali. Se consideriamo poi le infrastrutture, parte rilevante del Piano nazionale di ripresa e resilienza, Autostrade per l’Italia sta cambiando gestore, dall’Atlantia dei Benetton alla Cassa depositi e prestiti insieme a due grandi fondi stranieri, e deve sciogliere proprio il nodo degli investimenti. E sul tavolo c’è pure il progetto di rilanciare la più grande acciaieria d’Europa, l’ex Ilva, rendendo la produzione sostenibile sotto il profilo ambientale.

In molte di queste partite lo Stato è coinvolto direttamente, quasi in un ritrovato ruolo di Stato imprenditore. Non è detto che sia la scelta migliore, dipende da molti fattori. Dove lo Stato è però sicuramente assente da anni e rischia di esserlo anche domani con la crisi politica in atto è nella «capacità di creare un clima di collaborazione tra il governo e il settore privato piuttosto che fornire incentivi economici», come definisce l’essenza della politica economica e ancor più di quella industriale Dani Rodrik, l’economista che insieme al premio Nobel Douglas North ha espresso con maggior lucidità la necessità di una riscoperta del ruolo delle istituzioni.

Ciò che rischiamo di perderci in questo teso passaggio della diciottesima legislatura repubblicana è dunque l’imperdibile occasione per rimodellare il tessuto produttivo in settori cruciali che rappresentano, per altro, le voci di spesa maggiori del Next Generation Eu.

Vero è che oramai l’industria rappresenta non più del 20% del Pil, poco meno di 400 miliardi, essendo lievitato come in tutte le economie avanzate il terziario: il settore dei servizi, l’economia della conoscenza e quella della cura. Ma la seconda manifattura d’Europa, pur con pochi grandi gruppi, qualche centinaio di medie imprese internazionalizzate e una miriade di piccole aziende talvolta ben incastonate in filiere avanzate è ancora uno straordinario serbatoio di lavoro e competenze, con indicatori di produttività non dissimili da quelli tedeschi.

Per un Paese trasformatore come l’Italia è pertanto fondamentale sviluppare politiche in grado di sostenere i nostri vantaggi comparati, attraverso gli investimenti in tecnologia e innovazione e la ricapitalizzazione delle imprese più piccole e più colpite dallo choc pandemico. Gli attori e il budget, come detto, ci sono. Ciò che serve urgentemente, e lucidamente, è l’indispensabile regia.

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