Il tentativo di suicidio di una donna scongiurato da un carabiniere
mercoledì 8 novembre 2023

Trovo nella cronaca locale il racconto in prima persona di un carabiniere che ha salvato una ragazza dal suicidio. Lei voleva buttarsi da un ponte. Lui l’ha trattenuta. Ho letto con attenzione perché rispondeva a una domanda che mi pongo da tempo: quali sono le parole da usare per salvare una persona che vuol buttarsi? Si può dirle: “Non farlo, la vita è bella”? E se per lei la vita è un inferno? Si può dirle: “Pensa a tua madre”? E se lei non va d’accordo con la madre? La donna della mia cronaca stava a cavalcioni della spalletta di un ponte, dondolava i piedi sul vuoto, poteva cadere da un momento all’altro anche senza volerlo, però non si sarebbe potuto dire che non voleva, perché se era in bilico sul vuoto era perché c’era andata di sua spontanea volontà. Guardo il ponte nella foto, siamo nella mia città ma non lo riconosco, questa città ha angoli nascosti che però i suicidi conoscono.

I suicidi sono ottimi ricognitori. È una città bella ma non bellissima. Bellissima è Venezia, qui vicina. A Venezia i suicidi son più frequenti, e la risposta che mi son dato è questa: quelli che voglion suicidarsi hanno una brutta vita, son depressi dalla bruttezza, voglion morire nella bellezza, e morendo a Venezia si dicono: “Una scorpacciata di bellezza, prima di morire”. Questa ragazza che è stata salvata ieri voleva sfracellarsi. Era già sulla spalletta del ponte. Un saltino, e volava giù. Cosa si dice, per fermarla? Cosa le ha detto, il carabiniere? Vado alla ricerca delle parole con invidia e gelosia, perché io non ho pronte sulla bocca quelle parole, le parole della salvezza, eppure faccio lo scrittore, io non le conosco, e lui, un carabiniere, le conosce? E quali sono? Dalla cronaca che leggo pare che ci sia stato un breve dialogo, tra la salvanda e il salvatore, lui avrebbe detto: “Non lo faccia, signorina, la vita merita di viverla”, ma lei avrebbe risposto: “Meglio farla finita”.

“Meglio farla finita” indica la voglia di metter fine alla sofferenza, la vita è dolore, il salto dal ponte è la fine del dolore. Chi l’ha salvata dal salto l’ha chiamata figlia? E magari figlia mia? È un vice-padre? Ha usato parole paterne? Quando dico a me stesso che non trovo queste parole, non le ho pronte, non sarei in grado di salvarla, voglio dire che sono poco padre? Vado avanti col racconto del carabiniere, e trovo che lui confessa di essere un marcantonio grande e grosso, lei voleva svincolarsi e andar via, ma lui la teneva stretta, è stato un rapporto di forza, ha vinto il più robusto. Non leggo le parole che lui deve aver usato, anche stavolta resterò deluso. M’ero messo in testa che queste parole esistono, io non le conosco ma lui sì, se gli sfuggono le afferro. Alla fine lui dice che l’ha lasciata libera dall’abbraccio, l’ha lasciata andare. Dunque non erano parole, era un abbraccio. Noi che scriviamo articoli e libri crediamo che siano le parole che salvano, e invece è l’abbraccio. Abbracciare è il vero parlare. Parlare dice qualcosa, ma abbracciare dice tutto.

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