mercoledì 9 aprile 2014
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Caro direttore, mi ricollego all’editoriale di Giuseppe Dalla Torre «La pretesa del silenzio. Incredibile attacco ai docenti cattolici» del 2 aprile, sulla questione dei concorsi universitari. Vorrei portare una testimonianza e fare una riflessione.Un amico mi disse una volta, con cinico sconforto, che, in sede di concorsi universitari, il peggiore dei nostri è da ritenersi migliore del migliore dei loro. In questa prospettiva i nostri possono essere quelli della nostra facoltà, o del nostro gruppo di ricerca, della nostra fede, del nostro partito. E i loro, tutti gli altri. L’esperienza che ho fatto come candidato e che avrei poi fatto diverse volte come commissario, testimonia invece che, a pensar male, non sempre s’indovina. Per questo mi sembra importante riflettere sulla deontologia della professione docente, sulla scorta della "etica ternaria" di Paul Ricoeur.Di fronte all’altro dell’amicizia vale la sollecitudine, così come la si vive nei rapporti diretti, faccia a faccia. Valgono in questo caso la compassione o semplicemente l’attenzione per il più debole e la reciprocità dell’amicizia. C’è però anche un altro aspetto sotto il quale si deve considerare l’altro: è l’aspetto del ciascuno o del chiunque: chiunque si trovi in una certa condizione e debba essere trattato con giustizia, ossia come tutti gli altri. Quando si fanno le leggi e le regole, e quando si è chiamati ad applicarle, quando si valutano gli imputati in un processo e i candidati in un concorso, bisogna tener conto delle persone in quanto ugualmente portatrici di diritti e di doveri d’essere valutati nel merito delle questioni e in base al merito acquisito. In questo caso non si deve guardare in faccia a nessuno. Nello stesso tempo, precisa Ricoeur, non si separano i due aspetti dell’alterità, perché l’etica richiede che ci si impegni sia nella cura diretta e personale dell’altro, sia nella cura delle istituzioni, che sono a servizio di tutti. La premessa di questi due distinti e collegati rapporti di "cura" verso l’altro in quanto amico e in quanto soggetto di diritto, è data dalla cura di sé, come soggetto meritevole di autostima, come capace di agire intenzionalmente, secondo ragioni e criteri e non solo secondo istinti e interessi personali o di gruppo. Chi non si stima come libero o chi si sopravvaluta, come potente o competente, può cadere vittima di altri (bullismo, mafie) e dell’indifferenza verso le istituzioni e il bene comune. In sintesi: cura di sé, cura dell’altro, cura delle istituzioni. Questo lo scheletro dell’etica ternaria: singolarmente chiarificatrice e feconda per mettere ordine nelle relazioni umane, soprattutto per evitare le confusioni fra privato e pubblico, con particolare riferimento ai rapporti fra docenti e studenti.L’altro non è solo il diverso da me: altro sono anch’io. Se sono fedele e leale nella relazione d’aiuto, ma non omertoso, se rispetto le leggi e cerco di aiutare le istituzioni ad essere giuste, in qualche modo lavoro anche per me e per i miei amici.
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