giovedì 23 settembre 2010
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Caro direttore,sono un ragazzo cattolico che vive a Londra da un paio d’anni e ovviamente sono stato molto interessato dalla storica visita del Santo Padre nel Regno Unito. Leggendo l’editoriale di Avvenire del 21 settembre però sono rimasto un po’ deluso dall’uso di un’immagine che riflette, evidentemente, un’opinione assai diffusa su una delle città più cosmopolite al mondo. Opinione basata su uno stereotipo generato dal giudizio di persone che, probabilmente, non hanno mai vissuto appieno questa città. Londra è stata definita il «cuore del secolarismo più avanzato, dell’indifferenza religiosa più acuta, del relativismo etico più manifesto». Stiamo, invece, parlando di una città che oggi è un concentrato di etnie e religioni che solo vivendo qui si può capire: tra le principali, musulmani, induisti, buddisti, ebrei, oltre naturalmente ai cristiani. Gente d’Africa e d’Oriente, di Oceania e di ogni altra parte del mondo si è, nel tempo, trasferita qui portando la propria cultura e con essa la propria religiosità. Un mosaico ricco. E se lo guardiamo in profondità, scrutando le piccole comunità dislocate ovunque in questa grande capitale, ci si può rendere conto di quanti suoi abitanti siano in cerca di Dio, in cerca della fede anche a tutti i costi. A volte, mi è venuto da pensare che la gente qui possa essere molto più "alla ricerca" che non in un Paese dove essere cristiano e cattolico alle volte è "scontato". Qui si trovano Chiese cattoliche, anglicane, protestanti, ortodosse e comunità d’ogni tipo. Sono realtà che riescono anche a dialogare e a cercare percorsi d’unità, pur mantenendo le proprie identità. Ci sono poi altre comunità ancora più particolari, come quella dei cristiani omosessuali che si sentono figli di Dio, e per questo vogliono pregarlo. Londra non è solo la sua apparenza di città laica, peccatrice e traviante. Non credo, insomma, che il successo della visita del Papa, sia stata una gran «sorpresa», ma piuttosto una dimostrazione di come dietro una maschera di falsa indifferenza ci sia spesso lo sforzo e la volontà di tanti di motivare la propria fede.

Daniele Mestriner, Londra

Innanzi tutto, grazie della sua testimonianza, caro Daniele. E, poi, subito due precisazioni. La prima: la severa descrizione che lei cita – tutt’altro che lasciata cadere con noncuranza nel commento di Salvatore Mazza – non era riferita alla sola Londra, bensì al Regno Unito nel suo complesso (ma certo una capitale riesce a essere specchio della realtà di un intero Paese...). La seconda: il collega Mazza – valente vaticanista e davvero buon conoscitore di Londra, della Gran Bretagna e dei trend culturali e socio-politici in esse presenti – l’ha usata per tratteggiare, con lieve polemica, la preventiva descrizione fatta da altri e su altri mezzi di comunicazione (anche britannici) dell’«avventura senza speranza» del Papa. Una descrizione per più di un verso esagerata, ma non senza motivi. Lei – offrendoci, con garbo, uno sguardo attento e utile sulla grande città molto inglese eppure cosmopolita in cui ora vive – sottolinea ulteriori motivi e ulteriori aspetti di una realtà che era apparsa nella sua ricca complessità anche nelle nostre cronache dei giorni dell’incontro con Benedetto XVI. Trovo bella, caro amico lettore, la sua voglia e capacità di leggere e per così dire censire i percorsi della ricerca di Dio in quella moderna ed emblematicamente globale città dell’uomo. E vedo che, per questa via, lei arriva a conclusioni simili alle nostre: se si capiscono le vere domande che precedevano l’arrivo del Papa, si capisce l’ampia e partecipata reazione positiva alla risposta di verità che il Papa ha portato. Benedetto XVI sa dove va e perché. Per qualcuno, ancora una volta, è stata una «sorpresa» totale, non per lei e non per noi.
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