venerdì 18 marzo 2011
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Caro direttore,l’improvviso e apparente entusiasmo unanime per l’Unità d’Italia assomiglia molto (mi scusi l’esempio povero) a un analogo entusiasmo generale, di questi giorni, quello per la vittoria dell’Inter in Europa. Quest’ultimo entusiasmo non è mosso da un interesse positivo per la squadra di Milano, ma per la possibilità di tutti di elevare per qualche giorno l’Inter a "squadra nazionale" e di sentirsi un po’ meno "schiappe" a livello europeo (si chiama strumentalizzazione). Le odierne modalità di festa mi richiamano anche le classiche commemorazioni del 25 aprile con la costante e violenta esclusione della cultura e degli uomini cattolici. La manifestazione odierna si è intrisa di una retorica "contro": la Lega, il governo, il Nord... con l’evidente obiettivo di "ricolonizzare culturalmente" le riottose province settentrionali. Ed è questa retorica che viene per prima rifiutata da molti. Una festa dell’Unità "di conquista", non di aggregazione nel rispetto delle differenze. D’altra parte questa è la realtà storica: l’Italia non è stata costruita dallo spontaneo aggregarsi dei diversi Stati presenti nella penisola negli anni centrali del XIX secolo; ma dalla conquista di questi Stati da parte della monarchia piemontese, iniziando da un accordo semi-spontaneo con i milanesi vincitori delle "Cinque giornate". D’altra parte alcuni partiti a parole non negano il federalismo perché ciò farebbe perdere voti, ma non ne approvano mai i contenuti specifici; in realtà il federalismo che sognano molti è un "non federalismo". Forse aveva ragione chi ha detto che dovevamo «fare gli italiani». Certamente dobbiamo ancora fare una «politica Italiana moderna».

Camillo Ronchetti, Milano

Lei, caro signor Ronchetti, non scrive mai banalità e spesso sa unire autentica passione e bella intelligenza delle cose. Ma stavolta mescola note, osservazioni e riflessioni di diverso tipo. Alcune acute altre, mi perdoni, a mio giudizio solo acuminate. In quest’ultima categoria comprendo sia la frase su presunte mire di «ricolonizzare culturalmente» il Nord d’Italia come motore delle celebrazioni dei 150 anni dell’unità politica del nostro Paese, sia quella su modalità di festa che a suo parere ne ricordano ben altre, quelle tese alla «violenta esclusione della cultura e degli uomini cattolici». Non mi pare proprio che sia in atto quell’ambizione e questa emarginazione. Ma è su quest’ultimo punto, una presunta vena anti-cattolica delle celebrazioni dell’unità, che vorrei soffermarmi. Mi creda: penso anch’io che è sempre bene essere attenti e vigilanti, ma mi sembra davvero difficile "leggere" in termini così polemici e desolanti il "tempo di festa" che abbiamo appena inaugurato ufficialmente e che segnerà questo anno 2011. Rilegga bene le parole dell’omelia pronunciata ieri dal cardinal Bagnasco, e prima ancora riassapori il senso del messaggio del Papa al presidente Napolitano. Sottolinei, poi, con cura i passaggi chiave del discorso tenuto a Montecitorio dal capo dello Stato. Quell’insieme di alte considerazioni sono la conferma che pensare di poter "escludere" i cattolici dalla vicenda comune degli italiani e negarne il ruolo nel processo di unificazione civile e politica non è solo inconcepibile, è anche praticamente impossibile. Primo, perché la storia è storia e nessuno può negare lo straordinario e sapiente amor di patria nutrito dai cattolici italiani. Secondo, perché nessuno può pensare di ridurre i cattolici al silenzio (né su questo né su altro). È una tentazione ricorrente a vario proposito (assai spesso su quei temi etici "forti" rispetto ai quali il nostro umanesimo tanto ha da dire). E in certi ambienti e per certi poteri (anche mediatici) è arcigna e irresistibile, ma noi, caro amico, non ci intimidiamo né ci sgomentiamo.
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