sabato 15 agosto 2009
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Caro Direttore,in Germania sono state istituite le "Findel-baby", le "scatole per bebè". Le mamme, anche minorenni, che non possono o non si sentono di tenere il loro bebè, subito dopo il parto posso recarsi di notte all’entrata di un associazione (90 in tutta la Germania) dove c’è una sorta di buca delle lettere grande, in cui far accedere il bebè direttamente in un lettino riscaldato. L’allarme scatta subito per avvisare un volontario, e l’anonimato della mamma viene così garantito. Quest’ultima può recarsi poi all’associazione per prendersi cura del bambino. Le viene data la possibilità di cambiare idea su suo figlio, lasciandole un periodo di tempo in cui il bambino resta all’associazione prima di essere affidato alle istituzioni per l’adozione. Le "Findel Baby" hanno salvato la vita già a 6 bambini nella città di Amburgo: si tratta del numero di decessi fra i neonati a causa di abbandono che si registrano ogni anno. Sei futuri cittadini che devono la loro vita a una semplice e sensata attualizzazione, per così dire, di quella che un tempo si chiamava più brutalmente la "ruota". Non si potrebbe imitare la Germania? Magari cominciando a fare una campagna di informazione per far sapere a tutte le donne che, in Italia, la legge prevede il parto in ospedale sotto anonimato, che permette alla madre di lasciare la struttura dopo il parto, senza dare il proprio nome né riconoscere il bambino, che viene affidato dall’ospedale alle istituzioni, inserendolo subito nelle liste di adozione? BR>

Cecilia Masure

Questa volta la Germania non ci insegna alcunché: un’iniziativa analoga è avviata già da anni nel nostro Paese, e quindi, se imitazione c’è stata, vede le parti invertite, con i tedeschi a seguire. Protagonista e promotore in Italia, anche in questo caso, è stato il Movimento per la Vita, sul cui sito (www.mpv.org) si possono trovare notizie sulle città nelle quali è attivo il servizio delle "culle per la vita", 24 per la precisione, da Aosta a Treviso, da Palermo a Milano. In particolare, l’ultima ad aprire in ordine temporale è stata quella della casa delle Suore di Santa Giovanna Antida a Cassino (Frosinone) e l’inaugurazione, lo scorso 22 maggio, ha coinciso con la visita pastorale di Benedetto XVI. Avvenire, peraltro, ha scritto ripetutamente delle culle (l’ultima volta lo scorso 18 giugno, quando dedicammo una pagina al brutto atto vandalico che ha distrutto quella di Albenga, costata 7 mila euro). Approfitto però della sua lettera per tornare a parlare dell’argomento partendo da una considerazione che si collega direttamente a quanto lei stessa dice. Sappiamo tutto delle tragedie che colpiscono l’infanzia; si spendono grandi titoli, sui giornali e specialmente in tv, sui neonati che finiscono tragicamente nei cassonetti, ma ben poco spazio viene dato da quegli stessi mezzi ai bimbi salvati da morte praticamente certa grazie a iniziative come quella di cui stiamo parlando. Un divario informativo che dovrebbe essere colmato, innanzitutto a favore delle donne, che troppo spesso decidono di rinunciare ad avere un figlio proprio perché non conoscono le alternative possibili a quel gesto. A questa vera e propria censura si accompagna anche la carenza di informazione da lei segnalata riguardo la possibilità – tutelata dalla legge – di partorire conservando l’anonimato; una modalità cui corrisponde un avvio rapido delle pratiche per l’affidamento e l’adozione del neonato. Confidando che le nuove disposizioni di legge in materia di sicurezza non interferiscano con questa opportunità, che vede un consistente ricorso proprio da parte di ragazze e donne immigrate, continuiamo a sperare e operare affinché la vita nascente sia guardata con occhio più benevolo e generoso. Per quanto in nostro potere, insisteremo in questa direzione. E continueremo a parlarne: a questo proposito, mi piace ricordare che le "culle" si affiancano agli oltre 300 Centri di aiuto alla vita che dal 1975 operano sul territorio nazionale, permettendo fino ad oggi la nascita di oltre 70mila bambini di madri decise, altrimenti, ad abortire. Se questa non è una notizia...
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