venerdì 3 giugno 2022
L'invasione russa ha provocato migliaia di morti e distruzioni diffuse. Le conseguenze a livello alimentare, energetico e ambientale sono diventate un'arma che il Cremlino può usare contro l'Occidente
Guerra giorno 100: un bilancio e la strategia del tanto peggio tanto meglio
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La guerra in Ucraina arriva al 100° giorno con un raccapricciante bilancio di morte e di distruzione. Le vittime civili nel Paese invaso dalla Russia, e occupato per il 20%, sono oltre 4mila secondo la contabilità ufficiale, ma probabilmente qualche decina di migliaia (ventimila una stima, forse per eccesso, solo a Mariupol), delle quali 261 bambini. Cinque milioni le persone rifugiate all’estero, di cui una parte è rientrata in patria nelle ultime settimane. Migliaia anche i caduti militari sui due fronti. Secondo Kiev, sono addirittura 30mila i soldati di Mosca uccisi, mentre le cifre ufficiali non vanno oltre le due-tremila unità.

Il Comitato internazionale della Croce Rossa ha reso noto che il livello di devastazione "sfugge alla comprensione" e che "sarebbe difficile esagerare il bilancio del conflitto". La Russia ha messo fuori uso, per fare solo qualche esempio, 24mila chilometri di strade e 300 ponti (cui vanno aggiunti quelli fatti saltare dai difensori per fermare l’avanzata del nemico). Si stima che i danni alle infrastrutture abbiano già raggiunto i cento miliardi di dollari.

Cento giorni di guerra hanno anche messo sotto forte pressione il sistema sanitario ucraino. Al 2 giugno, vi sono stati 269 attacchi verificati a strutture e servizi per la salute, durante i quali sono rimaste uccise almeno 76 persone e 59 ferite, in base ai dati raccolti dall'Organizzazione mondiale della sanità. L'Armata ha anche distrutto 370 monumenti e beni culturali, ha calcolato il ministro della Cultura e dell'Informazione Oleksandr Tkachenko, il quale ha ricordato che lo scorso 7 maggio un missile ha centrato il Museo nazionale della memoria letteraria a Skovoroda.

C’è poi la crisi alimentare, energetica ed ambientale su scala globale che è una conseguenza diretta dell’aggressione decisa dal Cremlino. Il blocco delle esportazioni di grano e altri cereali sta provocando una penuria di cibo e materie prime per l’industria del settore in molti Paesi dell’Asia e dell’Africa, per scongiurare la quale è in corso una mobilitazione internazionale. Il conflitto in sé e le conseguenti sanzioni contro la Russia hanno provocato un forte aumento dei prezzi dei carburanti fossili, con uno choc sull’intera economia. Inoltre, la necessità di riconvertire e diversificare gli approvvigionamenti mette a rischio i piani di transizione ecologica avviati in particolare dai Paesi europei per frenare il cambiamento climatico e il riscaldamento globale. A cui si deve aggiungere il rischio dato dai combattimenti nei pressi delle centrali nucleari.

Tutto questo è diventato anche un’arma nello scontro tra il Cremlino e il fronte occidentale che sostiene la resistenza ucraina per difendere la sovranità del Paese e limitare la spinta espansionistica di Putin. C’è infatti chi vede un tentativo deliberato della Russia di fare crescere i prezzi sui mercati, di provocare scarsità di cibo e nuovi flussi di migranti per indebolire i Paesi che aiutano Kiev nella guerra con l’invio di armi e interventi economici. I cento giorni in questo senso acquistano una valenza particolare perché mettono pressione sulle democrazie, giustamente pluraliste al loro interno sulle politiche da adottare e più esitanti a perseguire la continuazione a tempo indefinito di un conflitto che provoca tanti morti e impone tanti costi.

E mentre il presidente Zelensky ha ancora la forza di proclamare che l'Ucraina vincerà, sull’altro versante, a Mosca, i media non parlano neppure della data simbolica, tutto procede come sempre, con la propaganda impegnata a salutare vittorie che non ci sono e nascondere perdite che invece sono sotto gli occhi di tutti. In Donbass si continua a combattere ferocemente, e l’Armata compie altri piccoli avanzamenti, come peraltro l’esercito ucraino a Sud, nella regione di Kherson.

Voci non confermate danno intanto il generale Alexander Dvornikov già sostituito al comando delle operazioni militari russe. Al suo posto sarebbe stato nominato il generale Gennady Zhidko, ex comandante del distretto militare orientale e viceministro della Difesa per gli affari politici. L’avvicendamento sarebbe dovuto a un "processo di rotazione" dei vertici operativi delle Forze Armate, ma un cambio a così breve distanza dalla nomina, nemmeno due mesi fa, sembrerebbe sospetto. Di certo, si confermerebbe che Putin vuole avere il controllo di tutte le scelte sul terreno in una guerra che secondo molti analisti potrebbe vedere altri “anniversari” dopo questi primi, tragici cento giorni.

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