sabato 13 giugno 2020
Fare il proprio dovere, come insegnava Moro. E ripensare l’impegno politico
Francesco Cossiga e Aldo Moro

Francesco Cossiga e Aldo Moro - Archivio Fotogramma

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Caro direttore,

si può trarre un insegnamento da un’epidemia imprevista, dalle fragilità che ha rivelato? Come ripensare il nostro essere in relazione con gli altri e con il mondo rivisitando il valore della cittadinanza? La rivoluzione digitale ci illude di essere sempre più connessi, socializzati, ma qualcosa non torna: il tarlo invisibile dell’individualismo non muore, ci mina e indebolisce dall’interno. Così la società è più debole, il suo tessuto non è solidale. La pandemia ci ha fatto sperimentare che la ricerca del bene comune può salvare la società, mentre la paura, la difesa esclusiva dei propri interessi, la sfiducia negli altri e nel sistema sono una minaccia per tutti. La pandemia genera nuove diseguaglianze che si sommano alle vecchie. Tanti rischiano di rimanere indietro.

Occorre ripartire dal tessuto sociale, dai valori che lo abitano e lo sostengono. È questo che ha reso possibile la ricostruzione post-bellica. Si aprì per il nostro Paese una stagione nuova: un immenso lavoro che ha assicurato, nella coesione, settant’anni di pace. Fu un compito possibile perché tante risorse morali concorsero, pur con diverso sentire, in un’opera comune che svolgeva in modo nuovo l’idea stessa di patria. «Rimettiamoci tutti a fare con semplicità il nostro dovere », affermava Aldo Moro nel 1944. Per ricostruire sono necessari lo studio, il lavoro, e la stessa politica: «Chi ha da fare della politica attiva la faccia, con la stessa semplicità di cuore con la quale si fa ogni lavoro quotidiano », aggiungeva Moro. E ancora: «Nessuno pretenda di fare più o meglio di questo. Perché questo è veramente amare la patria e l’umanità».

Accanto agli interventi economici è oggi necessaria la ricostruzione di un ethos civile, di un senso di responsabilità che fondi scelte e gesti condivisi. Più volte si invoca l’avvento di una nuova classe dirigente e di una nuova stagione politica. Perché avvenga occorre sollecitare la responsabilità di tutti. Per la nascita della Repubblica vi fu uno sforzo complessivo, tra differenti culture. Fu un passaggio in cui la Chiesa e i cattolici ebbero un ruolo decisivo nell’accreditare presso larga parte della popolazione l’idea stessa di democrazia. Saremo in grado di fare qualcosa di simile, oggi? Può la Chiesa di papa Francesco, con questo magistero semplice e illuminante, mobilitare le coscienze, sollecitare a una presa di responsabilità verso il mondo che abitiamo, verso l’ambiente, verso guerre e povertà, che non sperimentiamo da vicino come questa epidemia, ma che esistono e mietono milioni di morti? Serve qualcosa di nuovo, un 'patto civico', una mobilitazione che ponga in dialogo studiosi e uomini di impresa, persone capaci di ricerca e di sperimentazioni, impegnate a immaginare nuove forme di organizzazione del lavoro, e politici in grado di operare scelte lungimiranti, di avviare processi che richiedono tempo – si pensi alla riconversione delle industrie che fabbricano armi – ma che possono disegnare un futuro più giusto. Solo dalla capacità di costruire modelli nuovi, attraverso un dialogo che metta in relazione i vari aspetti della società, sarà possibile risolvere problemi che altrimenti vengono solo evocati e mascherati ( Laudato si’, n.11).

Occorre una politica in grado di suscitare una spinta morale, un entusiasmo collettivo, una voglia di vita e di crescita. Chi può sostenere, alimentare, un tale bisogno? La cultura può fare la sua parte così come la religione. Ma è evidente che serve una visione politica che mobiliti l’intera società complessa, con le sue differenze, con le sue specificità, dalle categorie professionali alle filiere produttive, dai luoghi del sapere a quelli dell’educazione. L’enorme quantità di risorse investite dovrà risultare utile per la ripresa, creare nuovo valore economico compatibile con la sostenibilità ambientale e una più significativa generatività. 'Nulla sarà come prima'? Forse, ma è un processo da costruire.

La normalità a cui vogliamo tornare dovrà mettere in campo un futuro nuovo. È su questo che la politica è interpellata: al di là della prova data in un’emergenza imprevedibile, occorre un salto di qualità, che ci porti oltre le sterili schermaglie tra minoranza e maggioranza che indeboliscono la coesione istituzionale. Il futuro politico del Paese sarà di chi saprà disegnare nuovi scenari riconnettendo cittadini e istituzioni. Come in quegli anni lontani, il futuro si costruisce anche in Europa e nella capacità di tessere relazioni internazionali che portino a uno sviluppo nel rispetto della giustizia e dei diritti umani, senza che la risacca sovranista prevalga disperdendo le premesse della convivenza pacifica tra i popoli.

Presidente di Argomenti2000

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