Yamen era solo un ragazzo. È stato ucciso per una bandiera

di Luca Foschi, Silwad
L'esercito israeliano aveva issato il vessillo con la stella di David, il giovane si era mosso con gli amici per rimuoverlo. Tre pallottole lo hanno ucciso e ora i palestinesi denunciano: hanno fatto passare i soccorritori solo dopo aver accertato la sua morte
November 4, 2025
Yamen era solo un ragazzo. È stato ucciso per una bandiera
La folla presente ai funerali di Yamen Hamed, nel villaggio di Silwad / Ansa
Sono silenziose le strade che si arrampicano e ridiscendono sulle colline di Silwad, paese a 15 chilometri da Ramallah. Il manifesto funebre di Yamen Hamed si staglia sui muri, sul cofano delle macchine, sulla soglia del municipio. «Giovedì l’esercito di occupazione ha piantato una bandiera israeliana su una piccola collina. I ragazzi hanno accettato la provocazione e si sono mossi per toglierla. Così è morto Yamen. Non conosciamo tutti i dettagli, ma di certo gli hanno sparato tre pallottole, hanno atteso che morisse, e solo allora hanno lasciato che i soccorritori intervenissero», racconta nel suo ufficio Raed Hamed, sindaco di Silwad. A rispondere alla chiamata d’emergenza è stato il paramedico Ahed Alsmerat.
A bordo dell’ambulanza si è diretto verso la periferia, là dove un tempo questa s’innestava sulla strada per Gerico, prima che l’Idf chiudesse l’accesso. Una fila di palmizi divide l’asfalto e i sensi di marcia, poi i blocchi di cemento. «Erano le 11 di giovedì notte. Arrivati sul posto sei soldati ci hanno bloccato la strada. Dovete tornare indietro, hanno detto. Hanno sparato finché la gente non si è allontanata. Abbiamo portato l’ambulanza a 30 metri dal punto, senza che potessimo vedere il corpo, e chiamato subito l’ufficio di coordinamento».
Silwad si trova nell’area B della Cisgiordania. Ciò significa amministrazione civile palestinese e responsabilità di polizia israeliana. L’ufficio di coordinamento ha due rami per parte: uno civile, l’altro militare. La richiesta d’intervento di Alsmerat circola rapidamente fra i quattro uffici, l’approvazione torna alla squadra di soccorso dopo 10 minuti. «L’autorizzazione non ci ha dato immediatamente accesso al corpo, i soldati infatti si sono frapposti per altri tre, quattro minuti. Infine ci hanno fatti passare, ma a piedi. Ho chiesto se il ragazzo fosse ancora vivo. Grazie a Dio è morto, hanno risposto», continua Alsmerat. L’esternazione del soldato è stata registrata dalla body-cam del paramedico.
Nell’oscurità traballante delle immagini la voce emerge chiara, in arabo: «Alamdulillah inno mat». I sei soldati a questo punto arretrano, si defilano. «Il cadavere di Yamen era supino, nudo se non per le mutande. Aveva due ferite sulla spalla, una sul fianco sinistro. Il collo era stranamente piegato, storto. I due medici che lo hanno visto, quello del Pronto soccorso e l’ortopedico, concordano: il collo gli è stato spezzato. L’osso è rotto su due lati. Ho visto la radiografia. È disponibile, in ospedale», conclude Alsmarat. Chiamato in causa dall’agenzia Afp, l’esercito israeliano ha risposto che durante l’operazione «un terrorista è stato identificato in possesso di un ambiguo oggetto infiammabile che si sospettava essere un congegno esplosivo. Dopo l’identificazione i soldati hanno risposto con il fuoco eliminando il terrorista». Morire per una bandiera, l’ennesima, conficcata nella terra. Il sindaco Hamed racconta l’inesorabile strangolamento di Silwad, circondata a nord, est e ovest rispettivamente dalla colonia di Ofra, dalla base militare di Asur e da un nuovo avamposto coloniale. Gli abitanti non possono accedere ai terreni, l’agricoltura è ferma. I furti, gli incendi, gli attacchi dei coloni, portati con organizzazione militare, intimoriscono i cittadini.
Nessuna denuncia formale trova mai seguito. Come nel resto della Cisgiordania, il trattenimento dei fondi ottenuti con la riscossione fiscale (circa due miliardi di euro), operata da Israele, lascia in condizioni estremamente precarie tutta l’amministrazione dell’Autorità palestinese. Una misura punitiva voluta dal ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, rappresentante del sionismo messianico radicale, come risposta al 7 ottobre, data a partire dalla quale tutti i contratti dei palestinesi impiegati in Israele sono stati rescissi. È un lento, inesorabile svuotamento, un’arcaica conquista portata con mezzi moderni, favorita dall’inanità della comunità internazionale. Un assedio economico, logistico, militare, che si palesa negli scontri quotidiani, collina dopo collina, casa dopo casa, strada dopo strada. Sono più di 1.000 le persone uccise in Cisgiordania dal 7 ottobre a oggi.
Centinaia di ragazzi hanno scortato venerdì sera Yamen per le vie principali del paese. Un fiume rabbioso di giovani sul quale fluttuava il sudario del ragazzo, il suo volto spento e pallido. È domenica, e ancora i viottoli che circondano la casa del ragazzo sono costipati dalle macchine di chi viene a portare cordoglio. «È stata un’esecuzione. Niente prova che Yamen fosse armato. Forse aveva un sasso in mano. Potevano arrestarlo, sparargli alle gambe, invece lo hanno ammazzato e umiliato», racconta il padre Iusef con un filo di voce, gli occhi gonfi di dolore. Un grado di accettazione della feroce iniquità che ben descrive il presente della Cisgiordania. Dice il fratello maggiore di Yamen, Iusef: «Non possiamo fare altro che stare qui. Dopo avergli sparato i soldati lo hanno preso a calci. A mia madre non abbiamo ancora detto che gli hanno spezzato il collo».

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