Trump impone i dazi al Myanmar e i golpisti ringraziano: «Ci ha riconosciuti»
Gli Usa inviano la lettera al capo del regime Min Aung Hlaing di fatto ignorando il governo di Suu Kyi che invece considerano "legittimo". Ancora violenze: 23 sfollati uccisi in un monas

Il conflitto birmano sta diventando sempre più inestricabile e, come se non bastasse il caos interno, la comunità internazionale contribuisce ad allontanare ogni possibilità di compromesso e di pace. Il generale Min Aung Hlaing esulta ora per essere stato destinatario della lettera con cui il presidente statunitense Donald Trump ha imposto il 40 per cento di dazi sulle importazioni dal Myanmar. Mentre la diplomazia Usa aveva finora ignorato la leadership militare, il messaggio sui dazi firmato da Trump è stato, come sottolineato da Richard Horsey dell’International Crisis Grooup, interpretato come “la prima indicazione pubblica che io abbia visto di un riconoscimento statunitense dei generale in Aung Hlaing e della giunta”. Il paradosso è anche che il golpista è vicinissimo alle posizioni di due "nemici" di Trump: il russo Vladimir Putin e il cinese Xi Jinping.
La missiva, che nei fatti affonda ogni residua possibilità di export negli Usa autorizzato dal regime di sanzioni imposto al Myanmar, ha dato l’occasione al capo della giunta per scrivere diverse pagine di un messaggio in inglese e birmano diffuso ieri dal servizio d’informazione del regime in cui si esprime “sincero apprezzamento” per la lettera di Trump e la stima per “la guida sicura nel condurre il suo Paese verso la prosperità nazionale”. Il generale golpista arriva addirittura a paragonare la vittoria elettorale del presidente Usa alla sua presa di potere: “In modo simile alle sfide da voi vinte durante le elezioni del 2020 negli Stati Uniti, il Myanmar ha affrontato una grande frode elettorale e irregolarità significative “ con riferimento alle elezioni di novembre 2020 che avevano confermato la volontà degli elettori di vivere in Paese finalmente libero dal controllo militare e affidato a una gestione democratica.
Difficile capire a quali fonti attinga il tycoon americano per indirizzare le proprie decisioni, ma sicuramente al Dipartimento di Stato qualcuno dovrebbe sapere che a contrastare passo dopo passo un regime sempre più isolato (fino a pochi giorni fa, almeno) e sempre più alle strette sul piano militare è un Governo di unità nazionale che non soltanto coordina in modo sempre più consistente attività di resistenza e gestione delle aree liberate, ma cerca anche di accreditarsi all’esterno forte della leadership morale della Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi e di componenti di ampia rappresentatività.
Come se non bastasse e contrariamente alle aspettative, la tre giorni di colloqui conclusasi ieri nella capitale malaysiana Kuala Lumpur dei ministri degli Esteri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico (Asean) di cui fa parte anche il Myanmar, ha quasi ignorato la situazione del Paese limitandosi a condannare il mancato rispetto della risoluzione del 2021 che impegnava la giunta a cercare una soluzione pacifica e a esortare i generali golpisti a chiudere il conflitto più che a organizzare entro l'anno elezioni di fatto inutili.
L’aviazione del regime continua intanto a a mietere vittime nel tentativo di fermare le forze di opposizione armata, ma gli obiettivi restano anche civili per delegittimare la resistenza. Venerdì 23 profughi tra i 150 ospitati in un monastero buddista nella regione di Sagaing sono stati uccisi da bombe d’aereo. Nel caos birmano, le attività belliche coinvolgono a volte anche faide interne alle stesse etnie che hanno in maggioranza un comune nemico nelle forze armate. É il caso dello stato Chin dove due milizie opposte alla giunta stanno combattendosi per il controllo del territorio e conseguenza è la fuga in corso di migliaia di abitanti oltreconfine, verso lo stato indiano di Mizoram.
© RIPRODUZIONE RISERVATA





