L'arcivescovo Delpini e il viaggio in Terra Santa «con il coraggio della pace»
Il racconto in prima persona dei giorni trascorsi tra Israele e Cisgiordania con una delegazione dei vescovi della Lombardia: «Israeliani e palestinesi reclamano un assurdo diritto alla vendetta. Ma c’è anche l’audacia di uno spiraglio»

I vescovi della Lombardia hanno effettuato, negli ultimi giorni di ottobre, un pellegrinaggio in Terra Santa. Un segno di concreta vicinanza sia alle persone che hanno vissuto la tragedia del 7 ottobre e la guerra che ne è seguita, sia alla Chiesa locale che è stata in prima fila per assistere i più poveri. Di qui una serie di incontri, con israeliani e con palestinesi, e la visita all’ultimo villaggio cristiano rimasto in Cisgiordania che resta come un faro di possibile mediazione all’interno di una situazione comunque molto complicata. L’arcivescovo Mario Delpini e gli altri presuli della regione hanno incontrato anche il Patriarca, cardinale Pierbattista Pizzaballa. Un abbraccio fraterno che non ha nascosto le difficoltà che devono essere affrontate. A partire dall’eredità di odio e rancore che arriva da lontano e che questi ultimi anni hanno aggravato. Ma anche un momento per ribadire la speranza che affonda la propria radice in Gesù e che non rischia di andare delusa. Qui le riflessioni dell’Arcivescovo di Milano a conclusione del pellegrinaggio.
Hanno troppo sofferto e hanno fatto troppo soffrire. I popoli di Terra Santa, israeliani e palestinesi, hanno troppo sofferto e il troppo soffrire ha generato una follia rabbiosa. Entrambi i popoli pretendono il monopolio della sofferenza e avanzano la pretesa di un diritto assurdo alla vendetta.
La follia rabbiosa
La rabbiosa follia può diventare anche lucida ideologia e cercare giustificazioni in una lettura selettiva dei libri santi, che si tratti della Torah o del Corano. La rabbiosa follia può diventare efficiente e spietata organizzazione. E chi è più forte può picchiare più duramente. La violenza è folle e perciò risulta incomprensibile e inaccettabile ogni invito alla saggezza, alla ragionevolezza, alla lungimiranza. Così il patriarca Pizzaballa riceve critiche e offese da israeliani e palestinesi che si sentono accusati e incompresi dalle sue parole.
Lo spiraglio
Hanno troppo sofferto. Abbiamo incontrato il papà di una ragazza israeliana di 15 anni uccisa in un attentato mentre tornava la scuola e il papà di un bambino palestinese di 6 anni ucciso in un attacco israeliano. Hanno troppo sofferto. Hanno sentito il violento istinto della vendetta. Poi però si sono domandati: ma se io uccido chi ha ucciso, riavrò mio figlio, riavrò mia figlia? Hanno cominciato a considerare che le lacrime e il sangue di entrambi hanno lo stesso colore e lo stesso strazio. Hanno compreso che entrambi sono esseri umani. Nell’incontro con i vescovi di Lombardia hanno dichiarato che l’intenzione della loro associazione “Parents Circle” è quella di professare e di diffondere questa evidenza: siamo esseri umani. L’audacia di uno spiraglio.
E adesso?
Nell’incontro con il Patriarca i vescovi di Lombardia e i loro accompagnatori hanno condiviso la speranza, anzi la realistica aspettativa che «la tregua duri», soprattutto perché è voluta dalle grandi potenze che sono particolarmente interessate nella regione. Se la tregua si mantiene, nella sua fragilità e discontinuità, diventa inevitabile la domanda: «E adesso?». Per procedere a una qualche forma di ricostruzione di quanto è stato distrutto sono necessari punti di riferimento e progetti. Si cercano perciò interlocutori, che, a quanto pare, non ci sono. In questa situazione ancora confusa e incerta risulta utile che ci sia una regia e una lungimiranza anche per gli aiuti che le Chiese di Lombardia, la Cei tramite Caritas Italiana e molte associazioni possono far pervenire. Il Patriarcato intende procedere alla ricostruzione di una scuola cattolica che è stata distrutta. Il Patriarcato intende offrire ai ragazzi un messaggio di speranza e una struttura educativa. In questi anni non c’è stata possibilità di andare a scuola e i ragazzi, i bambini hanno vissuto nell’angoscia e nel nulla. I traumi psicologici segnano forse per sempre la loro vita, come le mutilazioni e la morte dei genitori. Ma tutti possono ancora imparare l’arte di vivere, di vivere bene.
Continuerà la vita?
La vita continua: in Cisgiordania, in Gerusalemme e nella regione si vive in un altro scenario. Da un lato i territori di Israele presentano l’aspetto di una intraprendenza sorprendente se si guarda al numero delle gru e ai cantieri stradali che lavorano a pieno ritmo. D’altro lato i territori palestinesi sono stremati dall’interruzione dei rapporti di lavoro e di mercato con Israele, dalla mancanza di lavoro per la radicale riduzione dei pellegrinaggi in Terra Santa, dalle limitazioni nella possibilità di accedere all’acqua e all’energia elettrica. E questa miseria è assediata da un clima di insicurezza per l’aggressività di coloni israeliani che con cattiveria incomprensibile aggrediscono i palestinesi che raccolgono le olive, bruciano le piante, occupano terre. «In assenza di forze dell’ordine che contengano e impediscono la violenza, l’unico modo di tener a freno i coloni – dice il Parroco di Taybeh, unico paese interamente cristiano in Palestina – è attirare l’attenzione internazionale su queste terre». Perciò la visita di esponenti della diplomazia internazionale e anche la nostra visita di vescovi è una presenza provvidenziale. Il sindaco di Betlemme, a chi gli chiede che cosa possiamo fare, che cosa possiamo dare, risponde: «Noi non vogliamo vivere di beneficenza. Noi vogliamo vivere del nostro lavoro. Perciò se volete aiutarci, venite in pellegrinaggio, promuovete pellegrinaggi. Per moltissimi abitanti di Betlemme il lavoro è quello di accogliere e accompagnare pellegrinaggi. Contrastate la paura che fa di ogni erba un fascio e si immagina che tutto il Paese sia sotto le bombe». E molti hanno accompagnato il pellegrinaggio dei vescovi in Terra Santa con apprensione come se noi fossimo dei temerari in cerca di guai. In realtà Gerusalemme e Betlemme e molte altre parti della Terra Santa sono terre sicure: però sono tristi, perché mancano le preghiere, i canti e i silenzi dei pellegrini, ai quali erano abituati. Tutti ci hanno ringraziato per questo pellegrinaggio: è stato accolto come un messaggio. Non siete soli! L’impressione di essere soli e di non aver futuro induce molti cristiani a lasciare questa terra e a cercare condizioni di vita in altre terre dove saranno per sempre stranieri. Ma se i cristiani se ne vanno, che cosa sarà della Terra Santa?
Scintille di luce
La sapiente organizzazione del nostro pellegrinaggio ha programmato incontri edificanti e incoraggianti. Tra i beduini abbiamo incontrato suore che passano la giornata per offrire in villaggi di case precarie e di desolazione la possibilità per i bambini di avere una scuola di infanzia aperta. Nella scuola insegnano donne beduine qualificate, avvantaggiate dal fatto di abitare nel territorio e quindi di poter essere presenti tutti i giorni, evitando gli imprevisti di un viaggio reso difficile dai controlli e dalle limitazioni alla circolazione. Le donne beduine insegnano a scuola, tengono viva la tradizione del ricamo tradizionale e offrono i loro prodotti a chi ne riconosce la qualità e ne promuove il commercio. Una scintilla di luce in una terra deserta, senz’acqua, senza corrente elettrica, senza lavoro. E sì che dicono che il terreno è molto fertile. Ma dov’è l’acqua per farlo fiorire? Nella scuola per bambini audiolesi voluta da Paolo VI dopo il suo memorabile viaggio in Terra Santa operano suore esemplari per dedizione e competenza, compassione e lungimiranza. Insegnano a ciascuno a mettere a frutto tutte le sue risorse e sono orgogliose di poter mostrare donne che hanno frequentato la scuola da bambine, hanno imparato a parlare nonostante la loro limitazione e sono arrivate fino alla laurea. Nell’imponente sede della Custodia di Terra Santa operano decine di frati minori per prendersi cura dei luoghi santi, della preghiera e delle celebrazioni dei pellegrini. Sono frati che vengono da diversi Paesi del mondo e tutti, ispirandosi a Francesco di Assisi, salutano con le stesse parole e con lo stesso sentimento: «Pace e bene». Negli ambienti della Custodia è presente anche l’Accademia di Musica: tra gli studenti e i professori ci sono cristiani palestinesi, ebrei, musulmani. Studiano e suonano insieme. Del resto in tutte le scuole cattoliche sono accolti senza discriminazioni studenti di varia appartenenza. Una scintilla di luce in un contesto in cui l’identità e l’appartenenza religiosa sono principio di divisione e di ostilità. Sì, i cristiani possono essere un ponte tra i popoli e favorire percorsi inediti verso il futuro. Hanno anche il coraggio di pronunciare le parole proibite, come perdono, riconciliazione, pace.

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