Quanto manca alla tregua? L'attesa unisce Gaza a Gerusalemme
di Nello Scavo
Tutti gli attori coinvolti nello scacchiere di guerra sanno che si deve fare in fretta per evitare che la fragile mediazione americana salti all'ultimo

Gaza delenda est, era questo il piano mai dichiarato. Distruggere Gaza. Lo ammette in controluce il presidente Trump alla vigilia di una tregua ancora da firmare: «Bibi ha esagerato a Gaza e ha fatto perdere a Israele sostegno in tutto il mondo. Ora ripristinerò quel sostegno», ha riconosciuto il tycoon.
«Sarà la fine della guerra?». Nel silenzio del sabato biblico che desertifica le città, per la prima volta una domanda lega da prospettive opposte il timore di Gerusalemme e il terrore di Gaza. Nessuno si fida più. «Facciamo in fretta», ha insistito il presidente Trump: «Altrimenti tutto sarà da rifare». E’ presto per chiamarla pace. «La speranza che questo incubo durato due anni possa finalmente finire ci dà forza. Ma finché non saranno a casa, non sarà finita», ripetono i familiari degli ostaggi che ieri invitavano a tornare in piazza. E a migliaia da Tel Aviv a Gerusalemme si sono riversati nelle strade, per chiedere di fare sul serio.
La Casa Bianca ha inviato in Egitto i suoi emissari. È qui che si svolgerà la fase decisiva della trattativa. Ci saranno Steve Witkoff e il genero del presidente, Jared Kushner, entrambi immobiliaristi incaricati di chiudere la partita diplomatica. Il canale televisivo egiziano “Al Qahera News”, affiliato alle autorità del Cairo, ha affermato che anche le delegazioni palestinese e israeliana saranno presenti per «colloqui indiretti» sul piano di Trump. L’ufficio di Netanyahu ha assicurato che Israele si sta preparando per l’attuazione della prima fase: cessate il fuoco e rilascio degli ostaggi. Fonti vicine ai miliziani hanno però alzato la posta prima ancora di sedersi e trattare: “Il rilascio degli ostaggi, vivi e morti, in sole 72 ore è tecnicamente improbabile”, hanno fatto sapere. Nelle mani dei fondamentalisti, nascosti tra tunnel e insospettabili abitazioni private, ci sarebbero 20 israeliani ancora in vita e 28 uccisi dai due anni di guerra e prigionia.
Contestualmente al rilascio, Israele rilascerà 250 ergastolani palestinesi accusati di vari reati di terrorismo. Il leader politico di Hamas, Mousa Abu Marzouk, ha parlato ad Al Jazeera delle “condizioni necessarie” di cui il movimento ha bisogno per condurre in porto il negoziato: ”fine vincolante degli attacchi israeliani, in modo che Israele non possa riprendere gli attacchi dopo aver recuperato i suoi prigionieri; ritiro israeliano; aiuti umanitari distribuiti in tutta Gaza”. E questo per riportare a Nord la popolazione e scongiurare il rischio di una occupazione permanente attraverso i coloni israeliani che si dicono pronti a prendere possesso di un’ampia porzione della Striscia.
L’Autorità Nazionale Palestinese in una dichiarazione ha ringraziato Trump e i Paesi arabi e musulmani. «La sovranità sulla Striscia di Gaza - sono le condizioni postye dal presidente Abu Mazen - appartiene allo Stato di Palestina e il collegamento tra la Cisgiordania e la Striscia di Gaza deve essere realizzato attraverso leggi e istituzioni governative palestinesi, tramite un comitato amministrativo palestinese e forze di sicurezza palestinesi unificate, nel quadro di un unico sistema e di un‘unica legge, e con il sostegno arabo e internazionale». Ma c’è un altro pericolo che Netanyahu deve scongiurare, perdere i numeri per governare. Le fazioni interne non demordono. La tregua è un «grave errore», ha tuonato il ministro e colono di estrema destra Smootrich. «Gaza delenda est», era questo il piano. «Distruggere Gaza», una terra diventata rappresentazione. E da queste parti i simboli contano più delle promesse. «Come Cartagine era una capitale e un emblema che i romani volevano cancellare per demolire Annibale, Gaza lo è per annientare Teheran e la sua galassia».
L’uomo nell’ombra, conosce da protagonista i segreti decennali delle operazioni israeliane. In questi due anni di guerra non ha mai sbagliato una previsione. Conosce il negoziato e anche gli umori di chi tiene le fila. «La chiameranno pace, Netanyahu si intesterà il successo, Trump otterrà il trionfo politico, Hamas ne uscirà sconfitta ma non sepolta, ma ad aver vinto è il Qatar, che incassa nuovi affari con gli Usa e una centralità negoziale mai avuta prima». Lo dice sapendo che neanche questa sarà una buona notizia, fino a quando non si capirà in che misura il Qatar, che per anni ha tenuto in piedi i bilanci di Gaza, sia disposto a evolversi «da padrino a padrone, in grado di bloccare i terroristi in cambio di un salvacondotto e di un vitalizio». Fino a quando? «Israele ha promesso di ucciderli tutti, prima o poi, ovunque andranno». E nei 20 punti della “pax trumpiana” non c’è alcun impegno a rinunciare alla vendetta mirata. Soprattutto «a perdere è l’Iran, che non ha più il controllo della Siria, sta per perdere quello del Libano con gli Hezbollah costretti a ridimensionare le ambizioni, e anche lo Yemen da dove gli Houthi possono fare poco per impensierire davvero Israele».
A meno che «non si torni al passato: una nuova stagione di terrorismo internazionale ispirato dagli ayatollah». Perciò la minaccia di un nuovo attacco a Teheran, stavolta con l’arsenale Usa, non è solo una evenienza. La prima risposta dall’Iran è arrivata in mattinata: sei uomini, di nazionalità arabe e curde, sono stati giustiziati con l’accusa di lavorare per gli 007 di IsraeleSu Gerusalemme pesano le reazioni, alcune disorientate altre di plateale astio, contro le piazze del mondo. Al chiuso delle abitazioni, nel silenzio del giorno di Shabbat, di mano in mano passano le immagini dei cortei nelle capitali. Nei pochi cafè aperti nel giorno di sabato si commentano gli editoriali di Haaretz. «Gli israeliani di ritorno dall’Europa raccontano una scoperta sconvolgente: la Palestina, cancellata con la forza nel 1948, è presente ovunque al di fuori dei suoi confini», scrive Hanin Majadli. Ma c’è un tema esistenziale, che prevale su ogni dibattito: «Il massacro di Hamas ha fomentato un trauma le cui ripercussioni si faranno sentire per decenni a venire», ripetono analisti e commentatori. L’ordine impartito per rispondere alla mattanza del 7 ottobre 2023 sarà anche stato quel «Carthago delenda est» con cui duemila anni fa Catone il Vecchio invocava la distruzione di Cartagine. «Ma la campagna israeliana di atrocità a Gaza - per dirla ancora con Haaretz - ha distrutto le fondamenta su cui era edificato lo Stato di Israele».
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