Putin: «I Paesi Nato in guerra con noi, sono pronto a incontrare Trump»
Il presidente russo si è detto anche pronto a dialogare con Assad. E cita il missile Oreshnik, un’arma impossibile da essere intercettata dalle difese occidentali

Quattro ore e mezza di discorso e 76 domande (di cui 14 sulla guerra): un Vladimir Putin incontenibile e a ruota libera ha tenuto la tradizionale conferenza stampa annuale, combinata per la terza volta con l’appuntamento che fino a prima della guerra in Ucraina si teneva a giugno. Putin, nonostante una brutta tosse sulla quale ha voluto scherzare, dicendo che così «creeranno nuove speculazioni sulla mia salute», ha iniziando parlando della situazione economica del Paese. Ha spiegato che il Pil nazionale è cresciuto dell’8% in due anni, più di quello statunitense ed europeo. Che la disoccupazione è al 2,3% e i salari sono cresciuti del 9%. Il numero uno del Cremlino non si è scomposto nemmeno alla domanda fatta sull’inflazione, vero tallone d’Achille dell’economia nazionale. La crescita dei prezzi è sicuramente un «segnale preoccupante», ha detto, ma è motivato dal fatto che i redditi dei russi stanno salendo più velocemente dell’offerta.
Putin subito dopo è passato a parlare di Ucraina, l’argomento a cui ha dedicato la maggior parte della conferenza e soprattutto quello dove ha voluto ostentare la maggior sicurezza. Il primo pensiero è andato alla regione di Kursk, invasa dalle forze di Kiev nello scorso agosto. Il presidente ha assicurato che le forze russe stanno facendo di tutto per riprenderla e che quelle ucraine l’abbandoneranno definitivamente, ma senza dire né quando né come. Sul negoziato, per il presidente la conditio sine qua non è che in Ucraina ci sia un governo legittimo, frutto di nuove elezioni. «Se ci saranno elezioni, se qualcuno diventerà legittimo, parleremo con tutti, incluso Zelensky. «Se l’Ucraina vuole davvero intraprendere il cammino verso una soluzione pacifica, può certamente farlo. Ma possiamo firmare (accordi di pace) solo con chi è legittimo. E la Rada (il Parlamento ucraino) e il presidente della Rada sono legittimi». Un tentativo, in piena ottica di guerra non lineare, di influenzare la politica estera di Kiev, in un momento in cui il premier è debole, per cercare di volgere la situazione a proprio favore. Putin ha anche parlato di un futuro, potenziale, incontro con Trump. «Non so quando lo vedrò – ha detto –. Non sta dicendo niente a riguardo. Non gli parlo da più di quattro anni. Sono pronto, ovviamente. In qualsiasi momento. E sono sicuro che avremo qualcosa di cui parlare». Ill numero uno del Cremlino ha spiegato che la Russia «è pronta ai negoziati, ma ha bisogno che gli ucraini siano pronti a compromessi». Di cessate il fuoco, comunque, non se ne parla. La Russia è determinata a conquistare tutti gli obiettivi, e, soprattutto, una tregua potrebbe dare agli ucraini la possibilità di raccogliere le forze e ricompattarsi. Anche nei confronti del nemico di sempre, gli Stati Uniti, i toni sono di sfida, un vero e proprio duello tecnologico a distanza, che ha un nome bel preciso: Oreshnik, il micidiale missile russo che, secondo il presidente può colpire fino a 5.500 chilometri di distanza, senza venire abbattuto dalle difese aeree occidentali. E, a proposito di Occidente, il numero uno di Mosca ha fatto la voce grossa, lamentando il fatto che «praticamente tutti i Paesi della Nato sono in guerra con noi» e sottolineando, con nota minacciosa, che «la prontezza al combattimento dell’esercito russo è ai massimi livelli mondiali».
Nessuna concessione nemmeno sugli oggettivi punti deboli del Paese. Sulla demografia Putin ha glissato, spiegando che la Russia ha bisogno di più ragazze, ma che ci sono due regioni (su 85) dove i tassi demografici vanno bene.
Dribblata la domanda sull’assassinio del generale Igor Kirillov: il presidente ha ammesso che «ci sono stati degli errori e dobbiamo migliorare», e ha ricordato che i servizi segreti hanno sbagliato anche nel non prevenire l’attentato contro Daria Dugina. Non è mancato un pensiero per l’Italia, partendo dal ricordo per Berlusconi, e aggiungendo che, «nonostante tutto», con il Paese c’è ancora «una simpatia reciproca». Capitolo Siria: Putin ha gonfiato il petto, confermando l’alleanza con l’Iran e mandando messaggi a Israele. Mosca, oltre alla famiglia Assad, avrebbe evacuato dalle due basi 4.000 combattenti iraniani «su loro richiesta».
Il numero uno del Cremlino ha respinto la tesi secondo la quale la caduta di Assad rappresenta una sconfitta della Russia, e quanto alle basi ha aggiunto: «Non se le nostre basi rimarranno in Siria. Dobbiamo pensarci, perché dobbiamo vedere come si svilupperanno le nostre relazioni con quelle forze politiche che ora controllano e controlleranno la situazione in questo Paese in futuro. I nostri interessi devono coincidere». Di certo, per il presidente, Israele deve ritirarsi dal territorio siriano, definendolo «il maggior beneficiario» della crisi in Siria.
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