Prigionieri e bambini, non armi e territori. La via della diplomazia umanitaria

Il rimpatrio dei reclusi di guerra e la restituzione dei piccoli che Kiev considera “rubati” da Mosca, unita a quella delle salme, sono il tema dei negoziati dove un’intesa è davvero possibile
August 19, 2025
Prigionieri e bambini, non armi e territori. La via della diplomazia umanitaria
Ansa | Familiari e amici dei prigionieri ucraini, con le foto dei loro cari, hanno manifestato davanti alla sede dell’ambasciata Usa a Kiev prima dell’incontro tra Trump e Putin in Alaska, chiedendone la liberazione 
Nina si è presentata davanti all’ambasciata americana di Kiev mentre negli Stati Uniti i leader del mondo discutevano sul futuro dell’Ucraina. In mano la foto di suo figlio. «Domenica è stato il suo 35° compleanno. Manca da casa da quasi 1.200 giorni. Da madre li conto uno per uno», racconta. Prigioniero di guerra dalle prime settimane dell’invasione russa. Ufficiale della Guardia nazionale, ha difeso Mariupol fino alla capitolazione: la città martire nella regione di Donetsk che da maggio 2022 è stata conquistata da Mosca. A fianco la donna ha altre madri; poi mogli, figli e parenti di chi è stato catturato dall’esercito del Cremlino. Civili e militari. «Migliaia sono le persone attualmente nelle mani delle forze russe, in Russia o nei territori occupati», si legge nell’ultimo rapporto di Amnesty International. Nina si fa interprete di un sogno che attraversa il Paese. «Vorremmo che nei negoziati, al primo punto all’ordine del giorno, ci fosse lo scambio dei prigionieri piuttosto che lo scambio dei territori».
L’incontro alla Casa Bianca non l’ha accontentata del tutto. Ma il rimpatrio dei reclusi di guerra, unito alla restituzione dei bambini che l’Ucraina considera rapiti dalla Russia e alla riconsegna delle salme di quanti hanno perso la vita nelle battaglie, è – ad oggi – il tema dei negoziati dove un’intesa fra Kiev e Mosca è davvero possibile. Lo ammettono gli stessi media russi, compresi quelli più vicini al Cremlino: «Il ritorno dei prigionieri e dei bambini rappresenta l’unico punto su cui Russia e Ucraina hanno già raggiunto accordi e che probabilmente continueranno a mantenere». Il presidente americano Donald Trump ripete che in caso di progressi Kiev può aspettarsi «passi positivi» da parte della Russia, in particolare per il rilascio ulteriore di detenuti. Anche lo stesso presidente Volodymyr Zelensky è ottimista, di ritorno dagli Stati Uniti: «Molta attenzione è stata dedicata al ritorno dei piccoli, alla liberazione dei prigionieri di guerra e dei civili in Russia. Abbiamo concordato di lavorare su questo». Del resto è stata la sola questione che ha riguardato la popolazione sotto le bombe, affrontata sia nel summit fra Vladimir Putin e Trump, sia nel vertice americano con Zelensky e i volonterosi europei. Respinta al mittente – dalla Russia, con l’appoggio degli Usa – la richiesta di un cessate-il-fuoco, il fattore “gente” è stato marginale. Ad eccezione di pochi spunti. Prima con la lettera della first lady Melania Trump sul futuro dei bambini che il marito ha consegnato al leader russo in Alaska. Lettera che il presidente Usa ha fatto spacciare come incentrata sui piccoli deportati da Mosca, quando in realtà nel testo si parla genericamente di «proteggere l’innocenza» durante il conflitto. Poi per il richiamo di Zelensky alla necessità di uno «scambio tutti per tutti» avanzato a Washington che includa militari, civili, prigionieri politici e giornalisti; e per il riferimento della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, all’urgenza che «ogni singolo bambino ucraino rapito dalla Russia debba essere restituito alle proprie famiglie».
Ciò che emerge dai colloqui in terra statunitense è quanto la diplomazia umanitaria si confermi terreno per avvicinare i nemici. Lo ha ben chiaro la Santa Sede che su prigionieri, ragazzi e caduti ha incentrato il suo impegno nel corso della guerra: prima con papa Francesco, adesso con Leone XIV. Dalle mani del cardinale Matteo Zuppi, incaricato della missione umanitaria voluta da Bergoglio e confermata da Prevost, e dai tavoli delle nunziature continuano a passare liste con i nomi di donne, uomini e minori da restituire alle famiglie. È uno dei pochi canali di dialogo fra le due capitali che sono rimasti aperti durante i tre anni di invasione e che ha permesso un contatto costante fra le autorità. Non che la Santa Sede sia stata l’unica ad aver scommesso sul versante umanitario. Dai Paesi arabi alla Turchia, è stata tessuta una rete che, secondo i dati forniti da Kiev, ha consentito di rimpatriare 5.900 ucraini dalla prigionia e 1.200 bambini dai territori russi.
Proprio dopo il vertice di Washington è avvenuto l’ennesimo scambio concordato fra i due Paesi. Ieri la Russia ha riconsegnato mille corpi che, a detta di Mosca, appartengono a militari ucraini. Tra loro anche i cadaveri di cinque soldati morti in prigionia che erano inseriti negli elenchi dei «gravemente feriti o malati», accusa Kiev. E l’Ucraina ha trasferito in Russia diciannove corpi. Un “gesto” scaturito dai tre round di colloqui fra la delegazione ucraina e quella russa che si erano tenuti a maggio e giugno ad Ankara. E la sola intesa raggiunta era stata su questo tema, caro a entrambe le nazioni. Un accordo siglato il 2 giugno che ha previsto uno scambio “mille per mille” e poi il rimpatrio di 6mila salme di soldati da entrambe le parti. Nell’arco di qualche giorno centinaia di militari catturati sono usciti dalle celle; e in due mesi 7.057 corpi di ucraini uccisi sono giunti a Kiev. Alla vigilia del vertice di Anchorage, il 14 agosto, l’ennesimo scambio: 84 gli ucraini rimpatriati, sia militari sia civili.
Certo, non sarà facile arrivare allo “scambio tutti per tutti” ipotizzato da Zelensky. Perché il Cremlino ha già bollato come terroristi una parte dei militari ucraini reclusi, in particolare quelli del battaglione Azov e della difesa di Mariupol. E li ha condannati all’ergastolo o a decine di anni di carcere: sentenze che, nella visione di Mosca, escludono ogni eventuale riconsegna. Altrettanto complesso il caso dei piccoli “rubati”: la Russia ha fatto sapere che rientreranno in Ucraina solo «se verranno trovati i genitori, i parenti stretti o eventuali rappresentanti legali».
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