Perché sul piano per Kiev è in gioco il futuro dell'Europa
Per l'amministrazione americana il cessate il fuoco in Ucraina è l'occasione per ridefinire gli equilibri globali, legittimando le conquiste militari di Putin e ridando priorità agli affari Usa sulle risorse minerarie. Il Vecchio continente è obbligato a ritrovare subito unità se non vuole delegare sicurezza e difesa all'America

Il drammatico discorso alla Nazione di Zelensky, pronunciato dopo l’ultimatum di Trump ad accettare il suo piano, ha avuto tre passaggi chiave che meritano essere riletti con attenzione. Il primo: «Siamo di fronte a una scelta molto dura: o la perdita della nostra dignità, oppure il rischio di perdere un alleato chiave. O i 28 punti difficili, oppure un inverno estremamente duro - il più rigido finora - e i pericoli che ciò comporta. Una vita senza libertà, senza dignità, senza giustizia. E affidarsi a chi ci ha già attaccati due volte».Il secondo: «Esporrò le argomentazioni. Sarò persuasivo. Offrirò alternative. Ma una cosa è certa: non daremo al nemico ragioni per affermare che l'Ucraina non vuole la pace, che sta sabotando il processo e che è l'Ucraina a non essere pronta per la diplomazia». Infine, il terzo passaggio: «Mi batterò affinché, tra tutti i punti del piano, almeno due non vengano trascurati: la dignità e la libertà degli ucraini. Perché tutto il resto si basa su questo: la nostra sovranità, la nostra indipendenza, la nostra terra, il nostro popolo. E il futuro dell'Ucraina».
Anche per noi europei il momento è difficile. Da Gaza all’Ucraina, la “diplomazia” dei piani di pace di Trump sta seguendo solo logiche di potere e di affari, senza il coinvolgimento dei diretti interessati, i palestinesi e gli ucraini. Almeno per Gaza, il presidente aspirante Nobel per la pace a Sharm-el Sheik ha coinvolto i leader europei, invece per le sorti dell’Ucraina non consulta proprio quegli stessi europei già vittime delle incursioni ibride e delle minacce di Putin.
Il progetto dei 28 punti per l’Ucraina va oltre il cessate il fuoco: è un’operazione di ridefinizione degli equilibri globali. Trump sembra proprio dar ragione alle tesi manipolate dalla propaganda di Putin sulle “ragioni profonde” del conflitto. Appaiono bene in evidenza le intese di Washington e Mosca, con Pechino in posizione di calcolata attesa, mentre arretrano in secondo piano sia Kiev sia l’Unione Europea. In altre parole, Mosca ottiene legittimazione sulle conquiste militari e Washington punta a un congelamento del conflitto funzionale ai propri obiettivi strategici: la stabilizzazione degli affari in Medio Oriente e il controllo dell’Indo-Pacifico nel confronto con la Cina. Anche per l’Ucraina ci sono interessi economici da co-gestire nella nuova alleanza Usa-Russia: l’Ucraina possiede una delle maggiori concentrazioni europee di carbone, acciaio, titanio e terre rare, oltre a giacimenti significativi di litio, oggi considerato un materiale critico per le filiere tecnologiche e per la transizione energetica. Non stupisce che le regioni pesantemente colpite dall’invasione – Donbass, Zaporizhzhia, Kherson – coincidano con aree industriali chiave e zone con risorse minerarie fondamentali per il mercato globale.
La leadership di Kiev, logorata da anni di guerra e ora dall’ultimo scandalo della corruzione ai massimi livelli, rischia di essere trattata come un soggetto da “amministrare”, come era già emerso nello studio ovale quando Trump aveva umiliato Zelensky rimproverandogli di «non avere le carte». Ed è un paradosso evidente se si considera che - ricorda la stampa indipendente ucraina - la società civile mantiene una resilienza democratica straordinaria, e continua a rifiutare qualsiasi compromesso territoriale.
Zelensky, stretto tra la necessità di non perdere il sostegno americano e l’impossibilità di accettare una pace ingiusta, ha scelto la strada più difficile: lavorare sulla bozza, senza concedere una resa mascherata. In Europa, l’estone Kaja Kallas, Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, è stata netta: una pace imposta da fuori, e non garantita dagli europei, non è una pace. Parigi, Berlino e Varsavia condividono la preoccupazione: un’Ue che parla con ventisette voci non può permettersi di lasciare agli Stati Uniti il monopolio decisionale su un conflitto che si combatte alle sue frontiere. L’Italia nelle dichiarazioni ufficiali insiste che nessun negoziato può ignorare la sovranità ucraina, ma vi sono voci di chi vuole recuperare affari col mondo russo e riappropriarsi della propria comfort zone dalle paure della guerra.
A illuminare il quadro giunge su Just Security l’analisi dell’ex ambasciatore statunitense Daniel Fried, a suo tempo principale architetto della politica statunitense verso l’Europa post-sovietica. Per Fried un accordo duraturo deve includere tre elementi: un cessate il fuoco credibile, garanzie di sicurezza per Kiev e il riconoscimento pieno della sua sovranità. La bozza americana contiene questi elementi in forma distorta, contraddittoria e favorevole alla Russia. Proprio per questo la diplomazia ucraina deve essere sostenuta da quella europea, ed entrambe possono essere intelligenti e determinate: il piano non va rigettato, ma si può argomentare con il diritto internazionale, per correggere la bozza fino a trasformarla in un accordo accettabile. Al di là delle mosse di Trump, rimane la questione centrale: senza l’Ucraina e l’Europa al centro del processo negoziale, ogni accordo non solo non avrebbe legittimità, ma sarebbe solo l’ennesima tregua destinata a cedere. E senza un’Europa finalmente capace di dire “noi” - non ventisette “io” - la sicurezza del continente dipenderà sempre dall’umore della Casa Bianca. Quanto all’intesa Washington-Mosca, nel complesso l’idea di una Ucraina trattata come un problema da chiudere, e non come un Paese sovrano da ricostruire è impresentabile. È proprio questo il punto da ribaltare: senza la tutela del diritto all’autodeterminazione dell’Ucraina, nessuna pace sarà duratura, né potrà reggere l’idea di una nuova “Yalta del XXI secolo”.
Membro dell’International Law Association
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