Papa Leone: il saccheggio delle risorse mette a rischio il mondo
Nel messaggio letto dal cardinale Parolin, il Pontefice ha parlato di una nuova architettura finanziaria internazionale e di debito ecologico. «Il vertice di Belém sia un segno di speranza»

Il mondo brucia. Per le guerre, sotto i riflettori mediatici. Ma anche per un’emergenza che troppi nella comunità internazionale si ostinano a non guardare: il riscaldamento globale. La distruzione della casa comune e il «saccheggio delle risorse naturali» mettono a rischio la vita di tutti e, pertanto, andrebbe scongiurata con la «cooperazione internazionale e un multilateralismo coeso e lungimirante». Purtroppo, si assiste, invece, «ad approcci politici e comportamenti umani che vanno nella direzione opposta» e sono «caratterizzati da egoismo collettivo, disprezzo per gli altri e miopia».
L’appello rivolto da papa Leone ai leader internazionali riuniti a Belém per la 30esima Conferenza Onu sul clima (Cop30) è drammatico come il contesto. Dopo tre anni roventi, è ormai certificato lo sforamento della soglia di equilibrio di 1,5 gradi già nel giro di cinque anni. Letto dal segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, il messaggio del Pontefice non si limita a registrare la portata della sfida. Tratteggia, al contrario, una road map per affrontarle e superarla. Nella convinzione che nella tragedia del momento, la Cop possa rappresentare «un segno di speranza» della capacità del mondo di trovare un minimo denominatore comune per sopravvivere insieme.
Il solco per Robert Prevost è la “Laudato si’” del predecessore, di cui ricorre il decimo anniversario, come degli Accordi di Parigi per la cui firma è stata fonte di ispirazione, contribuendo – ha detto Leone, citando Francesco – «che il clima è un bene comune, appartenente a tutti e destinato a tutti». Di nuovo, l’Enciclica possa spingere i partecipanti ad «abbracciare con coraggio la conversione ecologica con il pensiero e con le azioni, tenendo presente il volto umano della crisi climatica». Sono – ribadisce con forza Leone – proprio le persone che vivono in condizioni di maggiore vulnerabilità a subire per prime gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici, della deforestazione e dell’inquinamento».
Da qui l’urgenza, di scegliere con «responsabilità, giustizia e equità». A partire dalla costruzione di una «nuova architettura finanziaria internazionale» che metta al centro l’essere umano e «tenga conto del legame tra debito ecologico e debito estero». Tema quest’ultimo al centro della riflessione della Chiesa in questo tempo di Giubileo e già anticipato dalla lettera di Francesco allo scorso vertice di Baku. Una questione non di magnanimità – aveva detto – bensì di giustizia». Su questo concetto si basa in qualche modo il Tropical forest forever facility (Fttt), l’innovativo fondo di investimenti per le foreste che rappresenta la punta di diamante della diplomazia brasiliana alla prima Cop in Amazzonia. L’iniziativa trasforma la “donazione” per la tutela dei boschi tropicali alla “remunerazione” per le nazioni che scelgono di difenderli invece di abbatterli a caccia di risorse. Lo strumento finanziario garantirà vantaggi ai primi, a chi da sempre difende la selva – i popoli indigeni – e agli investitori. «Questi ultimi saranno molto soddisfatti», ha detto la ministra dell’Ambiente e nota ecologista, Marina Silva. Non sarà facile, però, come ha detto l’Osservatorio del clima, rete di 160 Ong brasiliane, risultare più remunerativa del disboscamento. Nelle prime 24 ore di anteprima della Conferenza – i cui negoziati si apriranno formalmente lunedì –, in ogni caso, il Fttt ha raccolto l’adesione di 52 Stati e dell’Ue. Pochi, però, hanno messo mano al portafogli: finora sono stati raccolti 5,5 miliardi di contributi promessi. Poco più della metà della somma immaginata per la partenza dell’iniziativa.
La gran parte dei finanziamenti proviene dal Brasile e dall’Indonesia – un miliardo ciascuno – e dalla Norvegia, con l’investimento record di tre miliardi. La finanza sarà uno dei dossier principali del summit. L’anno scorso, a Baku, la comunità internazionale aveva trovato un faticoso compromesso sugli aiuti per le nazioni più vulnerabili all’emergenza ambientale: 300 miliardi l’anno. Meno di un quarto del necessario secondo stime indipendenti, con la promessa, però, di aumentarlo ai 1.300 miliardi richiesti entro il 2035. Con le sole risorse pubbliche è impossibile. Da qui la necessità di mobilitare una serie di attori. Impostare il futuro del contrasto al surriscaldamento, definendo un nuovo quadro di riferimento, un decennio dopo Parigi, è l’obiettivo dell’attuale Conferenza. Certo, non è escluso il riproporsi del nodo dell’avvio della transizione dai combustibili fossili, decisa due anni fa a Dubai, su cui l’anfitrione Luiz Inácio Lula da Silva è tornato ieri, al termine della due giorni di riunione dei capi di Stato e di governo. La via percorribile per i Paesi del sud del mondo, proposta dal presidente del Brasile, ottavo produttore di greggio, è «destinare una parte dei profitti del petrolio alla transizione energetica». E incrementare la produzione di biocombustibili. Progetto controverso – poiché si basa su risorse limitate come le biomasse – che il Brasile vuole portare avanti con Italia, Giappone e India.
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