giovedì 25 agosto 2022
Viaggio nell’istituto teologico dei domenicani a Kiev. Il direttore padre Balog: «Denunciare le falsità è dovere cristiano. Preghiera e cultura, armi per resistere e sperare»
Un mercato di libri usati a Kiev

Un mercato di libri usati a Kiev - Ansa

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Una grande tovaglia celeste è stesa sull’erba. I piatti con le ali di pollo appena cucinate vengono sistemati in modo accurato. Il barbeque libera ancora il fumo. Dalle grandi finestre che si affacciano sul prato si intravede una biblioteca. E poi le aule. Se non fossimo a Kiev, si potrebbe pensare di stare nel giardino di un college anglosassone. Del resto anche l’edificio lo richiama per certi versi, con uno stile dagli accenni vittoriani e i colori bianco e giallo che si alternano nella facciata. Si festeggia all’Istituto superiore di scienze religiose “San Tommaso d’Aquino”. Con un picnic semplice. Anche perché le sirene antiaeree che possono suonare da un momento all’altro non permettono gran che. A dare il benvenuto a chi arriva sono i frati domenicani che reggono il “presidio” teologico cattolico nella capitale dell’Ucraina. «La guerra non ci ha mai fermato – racconta il direttore, padre Petro Balog –. A marzo, poco dopo l’inizio dell’attacco da parte della Russia, le lezioni sono state sospese. Ma abbiamo continuato online il semestre. E da settembre siamo pronti a ripartire. Del resto celebriamo i 30 anni dell’Istituto che è stato fondato dal nostro Ordine nel 1992». Fra chi ha chiesto di iscriversi c’è anche qualche soldato al fronte. «Forse ha necessità di un orientamento spirituale fra le pieghe di ciò che sta succedendo – dice il direttore –. E anche un prigioniero ha comunicato di voler studiare da noi: ovviamente per via telematica». All’ingresso la bandiera con la croce dell’Ordine dei predicatori saluta quanti varcano la soglia. Nell’albo degli studenti passati da queste aule compare anche un nome di spicco nel panorama politico del Paese: Oleksiy Arestovych, oggi influente consigliere militare del presidente Zelensky.

Padre Petro Balog, che dirige l’Istituto “San Tommaso”, con il vescovo di Kiev

Padre Petro Balog, che dirige l’Istituto “San Tommaso”, con il vescovo di Kiev - @IRN.ua

​Ha un piglio energico padre Balog. Sa bene che davanti all’invasione russa c’è bisogno dell’arma della preghiera. E c’è bisogno dell’arma della cultura unita all’intelligenza della fede. «In mezzo ai combattimenti vale la regola di san Benedetto: “Ora et labora”. Ciò significa che la preghiera è, sì, fonte d’aiuto nelle lotte quotidiane, ma ha anche necessità di una nostra fattiva collaborazione. E poi come domenicani siamo chiamati ad annunciare la “Veritas”, secondo il motto dell’Ordine». E padre Balog è un efficace comunicatore. Il suo pulpito non è solo quello della chiesa della comunità domenicana di Kiev che conta sette frati, ma anche la cattedra da cui tiene le lezioni al “San Tommaso” o i social network che anima con pungenti riflessioni. Come quella «sulla cultura russa che l’Ucraina ha messo al bando», dice. Vietati i libri di letteratura russa, gli spettacoli di teatro russo, i concerti di musica russa. Anche i volumi scritti in russo. «Una decisone maturata non solo a causa del conflitto in atto – sostiene il domenicano –. Come ucraini ci siamo accorti che ogni forma di cultura russa dice le ambizioni imperialiste del Paese. Scrittori e compositori, pensatori e filosofi hanno plasmato per secoli il principio dell“unicità della Russia” e del suo “messianismo” nel mondo con la concezione di essere un “popolo portatore di Dio”. Assunti che andavano diffusi: prima attraverso la cultura, poi con la guerra che distrugge l’“altro estraneo”». Una pausa. «È importante che siano stati proibiti qui i canali tv russi e i siti Internet in lingua russa che con le loro fake news hanno influenzato le nostri genti e per i quali il Cremlino ha stanziato miliardi di dollari all’anno. Perché trasmettono l’idea di un “Occidente maligno” e di una “Russia fraterna”. Adesso è tempo di limitare anche la propaganda più sottile e profonda: quella legata alla cultura. Non sempre questa subdola forma di sciovinismo è percepita ed è ancora meno evidente a chi vive in Europa».

L'Istituto superiore di scienze religiose “San Tommaso d’Aquino” a Kiev

L'Istituto superiore di scienze religiose “San Tommaso d’Aquino” a Kiev - @IRN.ua

Non ritiene, padre Balog, che l’attacco sia cominciato lo scorso 24 febbraio. «Il conflitto ha avuto origine nel 2014 quando Mosca ha annesso la Crimea e poi ha occupato parte del Donbass con la complicità dei filo-russi locali. L’obiettivo di Putin è conquistare l’intera Ucraina. Perché Mosca non potrà mai accettare la nostra indipendenza. Infatti considera l’Ucraina il culla della Russia da cui ha preso il nome e anche la fede. Senza l’Ucraina la Russia non sarà mai una potenzia imperiale. Perciò è scoppiata questa guerra». Un conflitto dove entra anche il fattore religioso. «Il patriarcato di Mosca sta pagando a caro prezzo la sua cieca lealtà a Putin. Come ricorda Giovanni Battista, la Chiesa deve essere voce profetica e denunciare gli abomini del potere. Invece in Russia è diventata strumento di propaganda. Le posizioni del patriarca Kirill sono del tutto inaccettabili. Con le sue dichiarazioni Kirill ha dato un duro colpo non solo all’ortodossia russa, ma a tutto il cristianesimo». A fine maggio molte comunità legate in Ucraina alla Chiesa ortodossa russa, che è maggioritaria nel Paese, si sono staccate da Mosca. «Non c’è da stupirsi che prima le parrocchie e poi intere diocesi si siano rifiutate di menzionare il nome del patriarca Kirill durante la Divina Liturgia – osserva il religioso che è anche responsabile della Commissione giustizia e pace della Provincia domenicana –. Ma c’è chi sospetta che la rottura sia avvenuta solo sulla carta, per ragioni opportunistiche. Inoltre la Chiesa di Mosca in Ucraina si è macchiata negli anni più recenti di atti di connivenza con il nemico. E questa decisione non offre alcuna possibilità di riavvicinamento tra i due rami dell’ortodossia in Ucraina; anzi, aumenta le tensioni».

Uno studente dell'Istituto “San Tommaso d’Aquino” in una libreria a Kiev

Uno studente dell'Istituto “San Tommaso d’Aquino” in una libreria a Kiev - @IRN.ua

Più volte il direttore del “San Tommaso” cita papa Francesco. «Gli ucraini sono davvero grati al Pontefice per il suo continuo sostegno: con le preghiere, con gli aiuti umanitari, con la costante attenzione che rivolge al nostro Paese. Ma ritengono anche che non stia chiamando per nome l’aggressore. E hanno percepito in modo molto ambiguo il gesto simbolico di riconciliazione tra i popoli ucraino e russo durante la Via Crucis al Colosseo nel Venerdì Santo quando una donna ucraina e una russa hanno portato insieme la croce. La rappresentazione dei russi come “vittime di Putin” è un ulteriore elemento della propaganda russa». Il domenicano è scettico anche sui tentativi di mediazione. «Se qualcuno pensa che solo la diplomazia possa risolvere la situazione, è un ingenuo: Putin non crede affatto nei negoziati. E purtroppo ha lasciato il mondo senza opzioni. Poi, quando un aggressore rifiuta ogni tentativo di dialogo o pone condizioni assolutamente inaccettabili che mirano a ridurre in schiavitù i popoli vicini, è un diritto proteggersi. Non ci può essere compromesso con il male; altrimenti il male si moltiplica e si diffonde ancora di più». Tira un sospiro padre Balog. «Ma crediamo che la pace arriverà: l’Ucraina combatte per la pace. Tuttavia un accordo senza vittoria è una vittoria di Pirro. Ecco perché preghiamo ogni giorno affinché si giunga a una “pace giusta”».

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