giovedì 29 febbraio 2024
È solo un numero. Uno dei tanti che abbiamo letto e udito in 146 giorni di bollettini di guerra. Eppure quelle cinque cifre, una accanto all’altra, suscitano una certa impressione.O forse no...
Lutti a Gaza: oltre 100 morti nella calca per il cibo

Lutti a Gaza: oltre 100 morti nella calca per il cibo - ANSA

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È solo un numero. Un altro. Uno dei tanti che abbiamo letto e udito in 146 giorni di bollettini di guerra. Eppure quelle cinque cifre, una accanto all’altra, suscitano una certa impressione.O forse no. I morti a Gaza hanno oltrepassato quota 30.000: un abitante su 75. Lo ha comunicato il ministero della Sanità della Striscia. Istituzione controllata da Hamas, come l’intero apparato amministrativo dell’enclave.

Il dato è comunque attendibile? L’interrogativo è lecito.

Una risposta implicita forse arriva proprio da dove non ci si aspetterebbe: Washington. Durante un’audizione alla Camera, il capo del Pentagono, Lloyd Austin ha denunciato l’uccisione di più di 25mila donne e bambini. Quasi quattro mila in più dei 20.700 registrati dalle autorità locali. Di fronte all’impatto dell’affermazione, gli Usa hanno fatto un passo indietro. La portavoce del Pentagono, Sabina Singh, ha precisato che Austin avrebbe citato il bilancio di Hamas – anche se le cifre non coincidono –, «impossibile da verificare in modo indipendente».

Resta il fatto, comunque, che gli Stati Uniti utilizzino tale stima come riferimento. Di parole e numeri “ad effetto” ce ne sono, poi, ancora molti altri, perfino troppi. Almeno 1,7 milioni di sfollati interni – l’85 per cento della popolazione –, 360mila case distrutte, 576mila persone a un passo dalla carestia. Sono alcune delle ultime stime delle Nazioni Unite. Difficile obiettare dopo avere visto centinaia di donne, uomini, ragazzini affamati dare l’assalto a un convoglio di aiuti vicino a Gaza City. E che già sei bambini sono morti per fame.

Per l’ennesima volta, il segretario generale António Guterres ha chiesto lo stop al fuoco, seguito da i principali leader internazionali. Parole – e numeri – a cui, però, continuano a non seguire fatti. L’accordo per la tregua è in stallo. Anche Joe Biden – dopo l’ottimismo degli scorsi giorni – ha dovuto ammettere che la svolta non arriverà probabilmente lunedì, prima dell’inizio del Ramadan. E non è detto che arrivi, ha subito messo le mani avanti Benjamin Netanyahu.

La guerra – e relativi “danni collaterali” – vanno avanti implacabili. Tra questi danni ci sono 134 ostaggi, catturati Hamas il 7 ottobre, e tenuti prigionieri nella Striscia. Almeno quanti sono ancora vivi: non c’è un numero ufficiale di quanti siano morti in cattività.

Domani le Brigate Qassam dovrebbero informare sulla sorte di tre di loro. Si tratta di Yoram Metzger, Amiram Cooper e Chaim Peri, anziani sequestrati dal kibbutz di Nir Oz e già mostrati dai miliziani in un filmato di dicembre. I tre sono anziani – hanno rispettivamente 80, 84 e 79 anni – e soffrono di malattie croniche. Chair Peri, inoltre, ha dedicato l’esistenza a combattere per la pace e a costruire la pace con i palestinesi. Il figlio Lior, ora, ha raccolta il testimone e si batte contro l’offensiva su Gaza. Paradossi di una guerra-paradosso.

Tutti in conflitti, in fondo, lo sono. Eppure quello israelo-palestinese ha un surplus di assurdità. Forse perché entrambe le parti hanno trasformato il giusto reclamo di esistenza in uno scontro sempre più cruento per l’inesistenza dell’altro. Forse perché quando uno scontro armato dura da troppo tempo le ragioni singole si trasformano in torti collettivi. Forse perché le sorti di questi due popoli senza due Stati sono un intreccio che non si può sciogliere. Forse perché sono numeri e parole a rendere israeliani e palestinesi tanto distanti mentre la realtà della geografia, della storia, della cultura, perfino dei dolori subiti, li rendono inesorabilmente prossimi. Per questo, di tanto in tanto, fa bene passare dalla teoria alla carne. Quella di Karem, 11 anni, ogni giorno, sta per sei ore in fila per trovare l’acqua per la famiglia. Nell’attesa, ripassa le lezioni per quando tornerà a scuola. «Sarà un bel giorno – ripete –. Se ci arriverò».

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