mercoledì 20 giugno 2018
L'ultimo Paese ad entrare in crisi è stata l'Australia, dopo la decisione di Pechino di bloccare le importazioni di 24 tipi di rifiuti da riciclare. Ricadute anche per Usa e Europa
Rifiuti, la Cina mette in ginocchio il mondo
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L'ultima, in ordine di tempo, a lanciare l'allarme è stata l'Australia. La decisione della Cina, presa a inizio anno, di «bannare» le importazioni di 24 tipi di rifiuti da riciclare, carta e plastica in testa, sta mandando al tappeto il sistema di smaltimento del Paese. Il motivo? Presto detto: la decisione di Pechino riguarda ben il 99 per cento dei rifiuti che Canberra impacchetta e spedisce al «vicino». Nel 2017 l'Australia ha esportato in Cina 1,25 milioni di tonnellate di rifiuti. Ma non si tratta certo di un'eccezione. Gli Stati Uniti esportano oltre 13,2 milioni di tonnellate di carta di scarto e 1,42 milioni di tonnellate di plastica di scarto ogni anno in Cina. L'Europa, a sua volta, esporta metà delle materie plastiche raccolte e trattate per lo smaltimento, l'85% delle quali è destinato alla Cina. La sola Irlanda ha esportato il 95% dei suoi rifiuti di plastica nel 2016. Indovinate dove? La Gran Bretagna invia alla Cina materiale riciclabile sufficiente per riempire 10mila piscine olimpioniche. In totale sono stati 203,6 i milioni di tonnellate di rifiuti smaltiti in Cina nel 2016.

Non più la discarica del mondo

La decisione cinese, che ha spiazzato il mondo, nasce dalla svolta ecologia di Xi Jinping. Il presidente cinese ha raccolto gli umori sempre più neri dei cinesi sulle catastrofiche condizioni ambientali del Paese. E ha lanciato il suo editto contro la «yang laji», la «spazzatura straniera». Colpendo, indirettamente, anche un settore consistente dell'economia del Dragone, consolidatosi già a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso e che dipende proprio dalla spazzatura straniera. Nella lettera con cui Pechino ha notificato al Wto la decisione, ha lamentato che il materiale riciclabile ricevuto e proveniente dall'estero non era stato pulito o era stato mescolato con materiali non riciclabili. «Sarà molto difficile ora fare affari», ha ammesso Zhang Jinglian, proprietario della società di riciclaggio di plastica Huizhou Qinchun, che si trova nella provincia meridionale del Guangdong. Più della metà delle materie plastiche trattate dall'azienda sono state importate: dopo la svolta, la produzione sarà ridotta di almeno un terzo. Altri centri, come il Nantong Heju Plastic Recycling nella provincia costiera di Jiangsu, saranno messi in ginocchio. Ma allo stesso tempo, il divieto potrebbe spingere la Cina a migliorare i propri sistemi di riciclaggio, consentendole di riutilizzare più materiali locali, ha detto l'esperto di materie plastiche di Greenpeace Liu Hua. «In Cina, al momento, esiste un sistema di riciclaggio completo, legale e regolamentato», ha spiegato al New York Times Liu Hua. I ricavi per il settore del riciclaggio dei rifiuti in Cina sono cresciuti a un tasso del 13,5% all'anno, per un giro d'affari stimato in 16,2 miliardi di dollari.

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