giovedì 27 agosto 2020
La 14enne di fede cattolica, rapita e costretta a sposare un musulmano, è riuscita a scappare dalla casa del marito. Ora è costretta a spostarsi continuamente
Maira è riuscita a fuggire dagli aguzzini

Maira è riuscita a fuggire dagli aguzzini - Archivio

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Dopo la vergogna del sequestro, dello stupro e della conversione che giustificasse il matrimonio con un adulto, l’umiliazione di essere ceduta ad altri uomini e la minaccia di diffusione online dei video che i suoi aguzzini hanno girato durante le violenze. Solo ora, a distanza di quattro mesi dal suo rapimento nella città pachistana di Faisalabad, emergono gli aspetti più turpi della vicenda di Maira Shahbaz, la 14enne di fede cattolica strappata alla sua famiglia il 28 aprile.

A portarne a conoscenza di polizia e attivisti per i diritti delle minoranze, è la stessa Maira, fuggita dalla casa di Mohamad Nakash, l’uomo che per l’Alta Corte di Lahore sarebbe suo legittimo marito perché, secondo il giudice, la conversione all’islam sarebbe stata volontaria. I dettagli della sua prigionia sono stati comunicati dalla ragazza ai poliziotti nel commissariato dove ha cercato rifugio dopo la fuga e prima di cercare un posto sicuro.

Dopo il sequestro e un tragitto in auto insieme al futuro “marito” e a suoi complici, ha raccontato Maira in una relazione giunta ad Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), «mi sono trovata in un luogo sconosciuto dove l’accusato mi ha costretta a prendere un bicchiere di succo contenente dell’acool. Quando sono tornata in me ho iniziato a gridare e a chiedere loro di lasciarmi andare ma hanno minacciato di uccidere tutta la mia famiglia. Mi hanno anche mostrato il video e le foto che avevano scattato con i loro cellulari mentre mi violentavano».

La ragazza, che ha confermato di avere rifiutato l’abiura della fede cattolica, sarebbe anche stata costretta a prostituirsi. Una testimonianza drammatica, confermata a Acs dall’attivista per i diritti umani Lala Robin Daniel, denunciato come la madre e i fratelli di Maira dai sequestratori per avere sottratto la ragazza dall’abitazione dove era segregata in una località non distante da Faisalabad.

Daniel ha confermato la fuga della vittima, «traumatizzata» e ora costretta a spostarsi continuamente per non essere individuata dagli aguzzini. «Vogliamo portarla da un medico ma temiamo di essere scoperti», ha dichiarato l’attivista. La famiglia, attraverso il suo legale, l’avvocato Tahir Sandhu, aveva chiesto l’arresto di Nakash e si era rivolta all’autorità giudiziaria per chiedere l’annullamento del presunto matrimonio e il riconoscimento della violenza subita.

Tuttavia, il 6 agosto, l’Alta Corte di Lahore, competente a livello provinciale, aveva confermato l’unione, nonostante che il legale di Maira avesse prodotto un certificato di nascita ufficiale dal quale risultava che l’adolescente aveva soltanto tredici anni al tempo del rapimento e del presunto matrimonio con rito islamico, la cui validità è stata negata anche dal religioso musulmano chiamato a certificare la stessa unione.

Quella di Maira è diventata, come pure quella della coetanea Huma Younus, «una vicenda paradigmatica, per il suo svolgersi e per la difficoltà ad ottenere giustizia esemplare. Una vicenda che – sottolinea Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla Chiesa che soffre-Italia – mostra ancora una volta come resti fondamentale che si arrivi a ottenere giustizia al livello più elevato». «Oggi la legge viene spesso aggirata, spesso dalla stessa polizia. Per sbloccare la situazione e mettere fine alle varie forme di persecuzione occorre arrivare a una sentenza esemplare della Corte suprema, per farne una vittoria definitiva per tutte le vittime, come è stato in passato, ad esempio, riguardo gli abusi connessi alla Legge antiblasfemia».

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