martedì 26 dicembre 2023
Il raid israeliano sul campo profughi di al-Maghazi semina lutto e disperazione. Duemila persone a Betlemme per la Messa notturna: «Vogliamo la pace»
Le macerie del campo profughi bombardato da Israele

Le macerie del campo profughi bombardato da Israele - Reuters

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La Basilica della Natività si è riempita per la seconda volta. Come la sera precedente per la Messa notturna, il giorno di Natale oltre duemila persone si sono strette intorno alla Mangiatoia. Nella Betlemme vuota di decorazioni, luci, turisti, l’unico punto affollato è la chiesa con la grotta dove un’incisione a forma di stella segna il punto in cui, secondo la Tradizione, venne deposto Gesù neonato. Il contrasto è straniante. Nella piazza su cui si affacciano le serrande abbassate di negozi di souvenir e bar, non è stato necessario il maxi-schermo per consentire a quanti non sono riusciti a entrare di seguire le celebrazioni. Solo il Presepe con la Sacra Famiglia adagiata sullo sfondo di una Gaza bombardata. E una fila di cartelli bianchi con la scritta “Pace per Gaza”. Un grido muto sottolineato dal silenzio degli scout che hanno accolto senza il suono delle cornamuse il patriarca con al collo la “kefiah”, simbolo della tradizione palestinese, accompagnato dall’inviato di papa Francesco, il cardinale Konrad Krajewski.

Lutto e festa. La ferocia della guerra sembra avere cacciato il Natale da questo luogo, santo per i tre monoteismi. Nelle ultime 24 ore, almeno altre cento vittime – secondo le autorità della Striscia, controllate da Hamas - si sono aggiunte al già inaudito conteggio di oltre 20mila morti. La gran parte sono state uccise nel raid su al-Maghazi, nel centro di Gaza, zona dove molti sfollati del nord avevano trovato rifugio. E i bombardamenti vanno avanti a oltranza come anticipato dal premier, Benjamin Netanyahu, nell’incontro di ieri con i soldati all’interno dell’enclave: è stata la seconda volta del capo del governo sul “terreno” dall’inizio del conflitto. Eppure, come ha detto il patriarca dell’omelia, Dio trova un posto per nascere anche in questo tempo di sangue. Un piccolo segno è stato l’annuncio, proprio nella notte di Natale, della consegna nella Striscia di un carico di medicinali di un carico di medicinali e aiuti spediti con un elicottero dalla Giordania. Soccorsi che si sommano a quelli inviati dal Papa per bambini e feriti. La presenza dell’elemosiniere pontificio a Betlemme poi è stata un messaggio potente di solidarietà. I fedeli si sono fermati all’uscita della Messa per stringerli la mano. Altri sono usciti dalle case per salutarlo. Una ventina di familiari di residenti a Gaza ha condiviso con lui i propri sentimenti. Tutti hanno espresso gratitudine a lui e al Pontefice. Un affetto spontaneo che ha colpito lo stesso cardinale Krajewski, visibilmente commosso dalla fede dei cristiani palestinesi capaci di intonare con slancio canti al Dio nascente nonostante la sofferenza.

La stessa forza del “piccolo gregge” di Gaza: 992 battezzati di cui 135 cattolici su un totale di 2,3 milioni di abitanti che la Chiesa assiste – senza distinzione di religione – con tre scuole, tre centri per i più poveri, dieci centri sanitari. Anche loro hanno celebrato il Natale nella parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza City, rifugio per quasi seicento sfollati. Nella chiesa sono alloggiati gli anziani dopo che il blitz israeliano di dieci giorni fa ha reso inagibile una parte della casa delle suore di Madre Teresa dove erano sistemati. “Ogni famiglia ha un morto. Eppure non sono mancati. Il 24 la Messa è stata anticipata alle 17.30 per risparmiare la corrente elettrica. Ieri hanno trascorso la mattina in preghiera attorno a Gesù Bambino”, racconta il parroco Gabriel Romanelli che sarebbe dovuto rientrare nella Striscia proprio il 7 ottobre e non ha potuto farlo. Il sacerdote argentino è in contatto costante con i fedeli di cui si occupa il vice, Yousef Asaad. «Sono anche riusciti a preparare un pranzo semi-normale. Cosa difficilissima con la penuria di farina, viveri di prima necessità e carburante. Ormai cucinano tre volte alla settimana e fanno un solo pasto al giorno – aggiunge padre Gabriel -. Ma ieri hanno cercato di fare uno sforzo extra». Un modo per alleviare un po’ la tensione dopo settimane molto dure. Il 16 dicembre, un cecchino israeliano ha ucciso Nahida e la figlia Samar mentre uscivano dalla chiesa. Altri sette fedeli sono stati feriti che si sommano ai sei arrivati nei giorni successivi. «Tre di loro sono gravi. Non ci sono più ospedali dove portarli - sottolinea il parroco -. La gente è stremata dopo quasi tre mesi di bombardamenti. Sono, però, riconoscenti per essere stati accolti. E sanno di essere nel cuore della Chiesa. Sono molto grati al Patriarca che non mancava mai di visitarli ed è entrato letteralmente in tutte le case dei cattolici. Ora che il conflitto gli ha impedito di andare per Natale ha inviato loro un messaggio e questo li ha consolati. Poi c’è stato lo straordinario gesto del Papa di far venire a Betlemme il cardinale Krajewski. Non si ha idea di quanto sia importante per loro sapere che almeno Francesco non li ha dimenticati».

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