venerdì 30 giugno 2017
Il premier Abadi: «Il falso stato non c'è più». Restano però solo le rovine. Il 29 giugno del 2014 la proclamazione del Califfato. Nella moschea di al-Nouri apparve per la prima volta al-Baghdad
A Mosul «il Daesh è finito» tra le rovine della moschea
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Solo trecento irriducibili, decisi a combattere fino alla morte, sarebbero asserragliati in circa un chilometro quadrato della città vecchia. Ma, sfidando gli ultimi cecchini e i colpi di mortaio, le truppe irachene hanno riconquistato le rovine della moschea di al-Nuri. Una «operazione lampo» preparata negli ultimi giorni dalle forze dell’antiterrorismo che, nei giorni scorsi, hanno aperto dei corridoi per evacuare i civili ancora intrappolati nelle vicinanze. Macerie di un simbolo distrutto ad arte lo scorso 21 giugno dalle mine poste dagli uomini del Califfato e che hanno fatto crollare pure l’antico minareto pendente di Hadba.

«Lo Stato fittizio è caduto», ha dichiarato davanti alle telecamere della tv irachena il generale Yahya Rasool nel giorno del terzo anniversario della proclamazione proprio a Mosul del Califfato islamico da parte di Abu Bakr al-Baghdadi. Simboli e date da cancellare, in quella che per tre anni esatti è stata la 'capitale' irachena del Daesh, con tanto di ministeri e moneta islamica, imposti con il terrore. Iniziata il 17 ottobre scorso, le autorità irachene prevedono che la battaglia per riconquistare Mosul si concluda nel giro di alcuni giorni, mentre i combattenti estremisti sono ora messi all’angolo in pochi quartieri della città vecchia. La battaglia è alla «fase finale», mentre nel pomeriggio è lo stesso premier Haider al- Abadi a dare l’annuncio di vittoria: «Il ritorno della moschea al-Nuri e del minareto al-Habda nelle mani della nazione segna la fine dello Stato della falsità» dello Stato islamico. Nella moschea il leader del gruppo jihadista, Abu Bakr al-Bagh- dadi, tre anni fa aveva dichiarato la nascita del Califfato. Il premier ha aggiunto che l’esercito continuerà a dare la caccia ai jihadisti «per ucciderli e arrestarli, fino all’ultimo di essi».

Un annuncio un po’ troppo affrettato per esigenze mediatiche: un comandante delle forze speciali ha ammesso che il sito della moschea non è ancora del tutto libero. Nel quartiere di al-Shifa, dato per liberato una settimana fa, ieri si è combattuto per neutralizzare dei jihadisti. Lo stesso è accaduto nel quartiere di Yarmuk, mentre nella zona est della città, quella “bonificata” da un paio di mesi, ieri pomeriggio sono stati fermati cinque attentatori che indossavano una cintura esplosiva. Sono cellule dormienti, che facilmente si mimetizzano fra la popolazione civile, è che possono tornare a colpire in ogni momento.

Una ritirata lenta e irreversibile: in tre anni lo Stato Islamico ha perso il 60 per cento del territorio che ha occupato e l’80 per cento delle sue entrate, indica uno studio della società di ricerca IHS Markit. Una ritirata lenta e irreversibile, ma piena di grandi insidie. È allarme per i circa 50mila civili ancora in ostaggio nella città vecchia, scudi umani degli scampoli di un assedio che li ha lasciati quasi senza cibo e acqua. Ma è pure allarme umanitario per i circa 400mila sfollati dalla città in questi ultimi due mesi che ora sopravvivono in campi informali fra Mosul ed Erbil a oltre 40 gradi senza un vero piano di assistenza. Dall’inizio dell’offensiva finale contro la “capitale del Daesh” sono 800mila i civili fuggiti da Mosul. Il Califfato iracheno è caduto, ma Mosul non è ancora libera.

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