giovedì 30 novembre 2023
Segretario di Stato americano sotto le presidenze Nixon e Ford, si è spento nella sua casa del Connecticut. Discusso per la sua spregiudicatezza, nel 1973 fu insignito del premio Nobel per la pace.
Henry Kissinger è morto a 100 anni

Henry Kissinger è morto a 100 anni - Reuters

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Nella sua casa di Kent in Connecticut, all’età di 100 anni (era nato a Furth in Germania il 27 maggio 1923) è morto Henry Kissinger.


Cento anni. Di solitudine. E un groviglio di ricordi, di responsabilità, di successi diplomatici, di colpe storiche, di antri bui della coscienza nei quali lui solo poteva navigare, perché lui solo sapeva - come amano dire gli americani - “dove sono sepolti i cadaveri". Per questo Henry Kissinger era un ossimoro vivente. Una mente lucidissima e insieme tortuosa, un Machiavelli reincarnato e un luccicante gemello del migliore (e peggiore) Andreotti, un freddo e cinico manipolatore della scena internazionale e insieme un disincantato osservatore della caducità delle velleità umane, comprese quelle delle nazioni più potenti, come la sua. Quell’America che lo aveva adottato e per un breve lasso di tempo gli aveva inaspettatamente consegnato le chiavi del proprio futuro e un potere immenso, mai condiviso, saldamente trattenuto perché – come amava dire - «il potere è il miglior afrodisiaco».

La sua stesse carriera lo conferma. Segretario di Stato dal 1973 al 1977, alter ego di Richard Nixon e insieme a lui protagonista di un’impensata apertura nei confronti della Cina di Mao Zedong e dell’Unione Sovietica, spaesando il senso comune della Guerra Fredda e conducendo per mano l’America verso quel multipolarismo che oggi, declinando la potenza americana, è il sigillo del nuovo disordine mondiale. Ma quel bambino tedesco di nome Heinz e di famiglia ebraica nato a Fürth in Baviera nel medesimo anno del putsch della birreria di Adolf Hitler all’epoca non poteva immaginare cosa sarebbe stato di lui. Emigrato negli Stati Uniti nel 1938, studia a Harvard e si specializza in relazioni internazionali, scalando lentamente i gradini di una ruvida notorietà: la stessa che lo fa licenziare da Lyndon Johnson per aver criticato l’intervento americano in Vietnam, accompagnata dall’incapacità (ma forse no) di perdere del tutto l’accento tedesco.

Così SuperKraut - il nomignolo gli viene ben presto affibbiato dai collaboratori terrorizzati dalla sua straripante capacità di lavoro - arriva alla soglia della Casa Bianca come consigliere per la sicurezza nazionale di Nixon. Benché non fosse ancora il segretario di Stato, il tandem fra lui e l’avvocato californiano divenuto campione di arroganza e paranoia funzionò alla perfezione. In pratica Kissinger e Nixon fecero politica estera in due, lasciando tutti gli altri al di fuori dello Studio Ovale. Il tandem portò a successi diplomatici che vennero poi oscurati dal Watergate e dalla caduta di Nixon, ma che in realtà sono stati preziosi per l’equilibrio mondiale, a cominciare dalla fine della guerra del Vietnam.

In mezzo c’è stata ogni sorta di nefandezze. Non solo politicamente parlando. Si va dall’invasione e dai bombardamenti della Cambogia per colpire i santuari vietcong e snidare (invano) il “sentiero di Ho Chi Minh” alla presa capillare della Cia sull’America latina, fino al plateale soccorso al Cile incoraggiando - ma diciamo pure: pianificando - nel 1973 il colpo di Stato di Pinochet, senza dimenticare l’interessato silenzio sul giro di vite che la dittatura impresse in Argentina. Del resto quello era, come si amava dire, "il cortile di casa", che occorreva mantenere sgombro dal nemico giurato della Casa Bianca. Già ne bastava uno, Fidel Castro.

Delle relazioni fra i Paesi Kissinger condivideva la visione scaturita nel 1648 dalla Pace di Westfalia, che ponendo fine alla Guerra dei Trent’anni aveva garantito un ordine mondiale basato sull’esistenza di stati sovrani in confini ben definiti, che non interferissero negli affari interni degli altri stati, tanto da diventare il modello delle relazioni fra i popoli che meglio aveva funzionato perché basato sull’equilibrio dei poteri. Una teoria che Kissinger proclamò nel suo World Order (Ordine Mondiale), scritto però quando ormai quell’ordine scricchiolava sotto le spinte centrifughe di nuovi attori apparsi alla ribalta del mondo.

Accommiatandosi oggi dalla sua vita terrena, il grande equilibrista erede ideale di Talleyrand ci lascia in eredità un dubbioso dilemma: che dire di quella sua lunghissima vita certo non scevra di macchie e colpe che nessuna Realpolitik avrebbe mai potuto mai cancellare? Com’è cambiato il mondo sotto la sua occhiuta tutela? In molti – a cominciare dalla Cina - già ne rimpiangono le spietate sottigliezze, smussandone le colpe storiche e chiudendo più di un occhio sulle molteplici eclissi della democrazia e del diritto internazionale da lui perpetrate. Ma sarebbe curioso, ancorché impossibile, sapere cosa ne pensava lui, centenario uomo di mondo dall’animo esausto di chi aveva vissuto un secolo lungo in nome di un ordine che non esiste già più.


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